La parola che non funziona più
Sostenibilità. Diciamolo: è una delle parole più abusate del nostro tempo. Ce la ritroviamo ovunque, dai supermercati alle passerelle di moda, dai piani strategici delle aziende alle conferenze internazionali sul clima. E anche tanto qui su BUNS, lo ammettiamo. E ci avverte anche Antonio Galdo nel suo ultimo libro per Codice Edizioni – in uscita il 22 gennaio in libreria ma che abbiamo avuto la fortuna di leggere in anteprima! – Il mito infranto. Come la falsa sostenibilità ha reso il mondo più ingiusto, questo termine ha perso il suo significato originale.
Antonio Galdo ha scritto per i più importanti giornali italiani, ha lavorato in tv con Enzo Biagi e ha realizzato diversi programmi radiofonici per Radio 2 e Radio 3. Da alcuni anni ha fondato e dirige il sito Non Sprecare. Sulla sostenibilità ha scritto i libri Non sprecare, Basta poco, L’egoismo è finito (pubblicati da Einaudi) e Vivi lieve (Mondadori).
Dunque, cosa è successo? Invece di essere uno strumento per ridurre le disuguaglianze e costruire un mondo più equo, la sostenibilità si è trasformata in un’etichetta di lusso. Un biglietto d’ingresso per pochi eletti, mentre il resto del mondo arranca tra difficoltà economiche e promesse mai mantenute.
“Non esiste una sostenibilità che prescinda dalla riduzione delle disuguaglianze, da una distribuzione meno concentrata della ricchezza, dal colmare l’abisso di un mondo dove in una stanza si muore e nell’altra si spreca”
Ecco come un concetto nato per unire si è trasformato in un simbolo di divisione. Ecco perché oggi dobbiamo smascherare questa grande illusione green.
E non è tutto.

L’auto elettrica, la “rivoluzione” per chi se la può permettere
Avete mai pensato di acquistare un’auto elettrica? Nel suo libro, Galdo descrive questo paradosso: la macchina “green” viene sostenuta da incentivi pubblici pagati da tutti, ma è accessibile solo a chi ha redditi alti.
“L’auto elettrica rappresenta il futuro della mobilità sostenibile, ma al momento se la possono permettere soltanto le persone con alti redditi e solidi patrimoni”
E qui sta il problema. Questa rivoluzione sostenibile non è pensata per tutti, ma solo per una piccola élite. Chi non può permettersela, invece, deve vedersela con i prezzi della benzina che salgono alle stelle, mentre le vecchie auto a combustione vengono messe al bando.
E la storia non finisce qui. Come nota l’autore, i Paesi più poveri pagano il prezzo più alto per alimentare questa “rivoluzione”: dalle miniere di cobalto del Congo, dove i lavoratori vengono sfruttati in condizioni disumane, al controllo delle risorse da parte delle grandi potenze.
Quando la dieta mediterranea diventa un privilegio
Si parla anche di cibo, perché anche qui la sostenibilità sembra aver preso una strada sbagliata. Ricordate quando la dieta mediterranea era sinonimo di cucina semplice e accessibile?
“Il cibo di qualità con il marchio della sostenibilità ha cominciato a dettare il menu del lusso a tavola […] mentre tutti gli altri si devono accontentare di cibo spazzatura, sempre disponibile e a buon mercato”
Questo non è solo un problema di portafoglio. È anche un problema di salute. Mentre i ricchi possono permettersi alimenti sani e sostenibili, le classi meno abbienti devono ripiegare su cibo economico, spesso poco salutare. Risultato? Una crescita esponenziale delle malattie croniche nelle fasce di popolazione più povere.
La moda (in)sostenibile
E la moda? Qui, il greenwashing regna sovrano. Grandi marchi sbandierano pratiche sostenibili, ma dietro le quinte continuano a inquinare, sprecare e sfruttare i lavoratori nei Paesi poveri.
“La moda è il settore industriale meno sostenibile, anche se è quello che più accompagna i suoi prodotti con questa parola magica”
Ogni secondo, un camion pieno di vestiti viene bruciato o gettato in discarica. E non dimentichiamo le condizioni di lavoro nelle fabbriche del Bangladesh o della Romania, dove gli operai vengono pagati una miseria per produrre abiti che poi vendono a prezzi esorbitanti.
Cosa possiamo fare davvero?
Non tutto è perduto. Galdo ci invita a ripensare i nostri stili di vita e a richiedere un intervento politico più deciso. Ma avverte anche che non sarà facile.
“La vera sostenibilità non può prescindere da un cambiamento degli stili di vita e da un intervento politico deciso e coraggioso”
Questo significa ridurre gli sprechi, fare scelte consapevoli e abbracciare un modello di sviluppo più inclusivo. Ma significa anche sfidare le logiche di mercato che mettono il profitto al di sopra del bene comune. Il mito infranto è più di un libro. È un invito a guardare oltre il luccichio della sostenibilità di facciata e a impegnarci per un futuro diverso. Un futuro in cui il progresso green non sia un privilegio per pochi, ma una realtà per tutti. Perché, come ci ricorda Galdo, la vera sostenibilità non riguarda solo l’ambiente. Riguarda le persone. Riguarda noi.