Scuro Chiaro

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un’espansione vertiginosa dell’intelligenza artificiale che ha trasformato il nostro modo di creare, fruire e interagire con i contenuti digitali. Piattaforme come ChatGPT e Midjourney non solo sono diventate parte integrante della vita online, ma hanno anche reso evidente il potenziale dell’IA nel ridefinire il rapporto tra persone e tecnologie digitali. Dall’elaborazione del linguaggio naturale alla generazione automatica di immagini, video e musica, l’IA generativa è al centro di un dibattito sempre più acceso su come influenzerà il futuro della creatività, dell’educazione e del lavoro.

Se fino a poco tempo fa l’IA era perlopiù utilizzata per processi automatizzati come l’analisi dei dati o la modifica di immagini, oggi l’uso di strumenti più avanzati, come i modelli di linguaggio di grandi dimensioni (Large Language Models), ha portato queste tecnologie sotto i riflettori del pubblico generale. La conversazione sull’IA non si limita più a questioni tecniche: si estende a temi etici e sociali profondi, come la privacy dei dati, la disinformazione, l’equità nell’accesso a queste risorse e l’automazione del lavoro. In particolare, c’è una crescente preoccupazione riguardo al ruolo dell’IA nelle dinamiche politiche e mediatiche, soprattutto con le elezioni presidenziali statunitensi all’orizzonte.

Eppure, nonostante le criticità sollevate, molti stanno iniziando a riconoscere le opportunità che questa tecnologia offre. L’IA non solo permette di migliorare l’esperienza utente attraverso la personalizzazione dei contenuti e un maggiore coinvolgimento, ma si dimostra uno strumento utile anche per i creativi e per i narratori dai fan della cultura pop agli artisti digitali, contribuendo perfino alla costruzione di legami emotivi più profondi tra brand e consumatori.

Alla luce di tutto ciò, qui a BUNS ci sembra opportuno riflettere ulteriormente sugli sviluppi in atto e sui futuri scenari che potrebbero aprirsi. Oggi, abbiamo il piacere di discutere di queste tematiche con un esperto della combinatoria tra narrazione e intelligenze artificiali che ci aiuterà a esplorare in profondità le implicazioni dell’IA e le sfide che ci attendono in questo nuovo mondo sempre più tecnologicamente avanzato.

Docente e consulente esperto in transmedia e digital storytelling alla Scuola Holden, Riccardo Milanesi ricopre anche il ruolo di professore a contratto di Transmedia Studies all’Università La Sapienza di Roma. È co-direttore dell’Holden.ai StoryLab, un laboratorio che si occupa di ricerca, divulgazione, eventi e formazione sull’applicazione dell’intelligenza artificiale nel campo della narrazione e della creatività. In qualità di autore di narrazioni interattive e transmediali, ha poi collaborato con importanti realtà produttive televisive e digitali, come De Agostini, Palomar, Rai Cinema e Fox Italia. E infine, ha pubblicato per Franco Angeli Editore il saggio Transmedia Experience (con Francesco Gavatorta) e Alternate Reality Game. Costruire mondi possibili per un futuro migliore (con Domenico Morreale).

Iniziamo.

Intanto Riccardo, smarchiamo una prima preoccupazione collettiva. Credi che l’IA possa mai sostituire completamente l’immaginazione umana nella scrittura creativa o rimarrà sempre uno strumento di supporto?

Innanzitutto, è importante distinguere tra creatività e immaginazione. L’immaginazione è la capacità di visualizzare qualcosa che non esiste ancora, un processo che nasce da esperienze, intuizioni e un’interazione costante con la realtà che ci circonda. La creatività, invece, è l’atto pratico di trasformare queste visioni in qualcosa di concreto: un racconto, un’opera d’arte, o una soluzione a un problema.

L’AI, pur essendo uno strumento incredibilmente avanzato, non possiede l’immaginazione: non prova emozioni, non ha esperienze di vita, non ha un passato, non ha un’idea di futuro, non porta con sé ferite, non vive nel mondo come lo viviamo noi. Quello che può fare quindi è simulare la creatività, analizzando enormi quantità di dati e riorganizzandoli in combinazioni che possono sembrare originali.

L’intelligenza artificiale è un alleato prezioso per alimentare il processo creativo. Può suggerire spunti, testare scenari, superare blocchi creativi e, in alcuni casi, sorprendere l’autore con soluzioni che non avrebbe considerato. La capacità di dare significato a un’idea, di scegliere quale storia raccontare, la capacità di costruire mondi che non esistono resta ancora una prerogativa umana.

Il nostro compito dovrebbe essere quello di servirci degli strumenti di intelligenza artificiale proprio per potenziare la nostra immaginazione.

Più in generale, in che modo l’intelligenza artificiale sta trasformando il campo della narrazione? Qual è la tua esperienza sul campo?

L’AI sta rendendo la narrazione più dinamica e personalizzata. Oggi è possibile creare storie che si adattano in tempo reale ai gusti o alle scelte di un pubblico, oppure generare interi universi narrativi con una velocità che fino a pochi anni fa era inimmaginabile. Questo potrebbe trasformare il rapporto tra narratore e pubblico: l’autore non è più l’unico creatore, ma diventa un mediatore che lavora insieme alla tecnologia per coinvolgere il pubblico in modi nuovi.

Nel mio lavoro con gli studenti della Scuola Holden e della Sapienza, sto testando questi strumenti per esplorare nuove forme narrative e, nello stesso tempo, mettere in discussione modelli tradizionali come il viaggio dell’eroe.

Questa sperimentazione non è solo tecnica, ma anche concettuale: ci spinge a riflettere sul nostro ruolo di autori e sulla relazione tra narratore e fruitore. Quando ragioniamo sull’intelligenza artificiale stiamo in realtà cercando di capire qualcosa di più sugli esseri umani.

L’IA generativa ha la capacità di apprendere le strutture narrative più complesse o le tradizioni letterarie di specifiche culture? Ci sono delle limitazioni oggi?

L’intelligenza artificiale generativa ha dimostrato di saper analizzare e replicare le strutture narrative e gli stili letterari di diverse culture, purché abbia accesso a sufficienti dati di addestramento. Questo significa che può imitare con precisione un racconto epico, una poesia in rima o un romanzo postmoderno.

C’è ovviamente un grande limite: l’AI apprende solo ciò che è codificato nei dati a cui ha accesso, non comprende davvero il contesto, la profondità culturale o i sottotesti emotivi.

Potrebbe ad esempio replicare lo stile di un racconto giapponese o di una saga nordica, ma rischierebbe di cadere in stereotipi o fraintendimenti se non fosse supervisionata da un essere umano. Inoltre, manca della sensibilità per affrontare temi complessi o controversi, che spesso sono il motore delle storie.

Come l’IA potrebbe influenzare il modo in cui ci approcciamo alla lettura e al consumo di storie in futuro?  Ad esempio, pensi che le esperienze narrative interattive diventeranno sempre più diffuse grazie all’uso dell’intelligenza artificiale?

Credo che in futuro continueremo a leggere storie tradizionali, ma queste verranno affiancate da narrazioni che evolvono e si adattano alle interazioni del lettore. L’intelligenza artificiale permetterà di creare libri che cambiano trama in tempo reale, giochi narrativi che rispondono alle emozioni del giocatore e mondi virtuali in cui il pubblico partecipa direttamente alla costruzione della storia. Questo ridefinisce la narrazione, trasformandola in un dialogo continuo tra autore, tecnologia e lettore.

Tuttavia, esiste il rischio di una personalizzazione eccessiva, che frammenti il senso di universalità delle grandi storie. Le narrazioni iperindividualizzate potrebbero perdere quel valore collettivo che spesso ci aiuta a riflettere su chi siamo e su cosa ci unisce come esseri umani.

La vera sfida sarà bilanciare questi due aspetti: sfruttare le potenzialità dell’AI per ampliare la nostra capacità di raccontare storie personali, senza però sacrificare la loro capacità di affrontare temi universali. Alla fine, tutto dipenderà da noi, da come sapremo utilizzare questi strumenti per mantenere viva la connessione emotiva e culturale che rende le storie significative.

E infine, guardando al futuro, quali sviluppi tecnologici nell’ambito delle IA e della narrazione ti entusiasmano di più, come persona, ancora prima che come professionista?

Quello che mi entusiasma (e che ovviamente, se non sarà gestito nel modo giusto, mi preoccupa) di più è l’idea che l’intelligenza artificiale possa democratizzare la narrazione. Immaginiamo un mondo in cui chiunque, indipendentemente dalle competenze tecniche o dalle risorse, possa creare storie memorabili utilizzando strumenti di AI.

Dal punto di vista tecnologico, sono affascinato dall’integrazione tra AI e realtà estesa (AR/VR). Pensare a storie multisensoriali, dove il pubblico non solo legge o ascolta, ma “vive” letteralmente la narrazione, apre scenari del tutto inesplorati.

E poi c’è un terzo aspetto, legato al futuro ma anche al passato, che mi incuriosisce: la capacità della AI di analizzare e rielaborare archivi di testi, documenti e tradizioni orali. Questo potrebbe aiutarci a riportare alla luce storie che rischiano di essere dimenticate, frammenti di culture o miti che non hanno mai trovato piena rappresentazione. L’AI potrebbe così aiutarci, ad esempio, a creare nuove narrazioni che intrecciano elementi di culture diverse, favorendo non solo la conservazione ma anche l’evoluzione dei patrimoni culturali. Questo non democratizza solo l’accesso alla narrazione, ma ci spinge a riflettere sul nostro rapporto con la memoria collettiva e sull’importanza di dare spazio a storie che altrimenti rimarrebbero in silenzio.

Ancora una volta, siamo finiti a parlare di noi essere umani.

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