Scuro Chiaro
Il punto della situazione in Italia

Il tema per noi a BUNS non è nuovo, l’avevamo già sfiorato nel 2021 parlando della Generazione X. Negli ultimi anni, soprattutto a seguito della pandemia, si è osservato un cambiamento significativo nelle dinamiche familiari e lavorative. Uno dei fenomeni più interessanti è la scelta di alcuni padri di lasciare il mercato del lavoro per diventare i principali caregiver dei propri figli. Una decisione che, pur rimanendo minoritaria, sfida stereotipi radicati e si inserisce in un contesto culturale e sociale complesso come quello italiano.

Durante la pandemia, l’aumento del lavoro flessibile e remoto ha permesso a molti padri di trascorrere più tempo a casa. Questa vicinanza forzata con la famiglia ha portato alcuni uomini a rivalutare il proprio ruolo all’interno delle mura domestiche, scoprendo una maggiore soddisfazione nell’essere parte attiva nella crescita dei figli. Non si tratta solo di un’esigenza pratica, ma di un cambiamento culturale più ampio, che sfida il modello tradizionale di paternità come semplice figura di sostegno economico.

In Italia, tuttavia, questa transizione incontra ostacoli significativi. Secondo il rapporto ISTAT sulla famiglia, la divisione del lavoro domestico e di cura rimane fortemente squilibrata: le donne dedicano, in media, il triplo del tempo rispetto agli uomini a queste attività. Eppure, le nuove generazioni sembrano più aperte a un approccio condiviso, spinti anche da un mutamento delle aspettative sociali su cosa significhi essere un “buon padre”.

L’Italia ha uno dei tassi di occupazione femminile più bassi in Europa, e questo incide direttamente sulla possibilità per un uomo di abbandonare la propria carriera senza mettere in pericolo la stabilità economica familiare. Inoltre, i sussidi e le politiche di welfare sono ancora fortemente orientati verso le madri. Anche se negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti, come l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio, questo rimane limitato rispetto a quello di altri paesi europei. I papà che desiderano un ruolo più attivo spesso devono affrontare la mancanza di reti di supporto e modelli istituzionali adeguati.

Il lento cambiamento di immaginario

Paul Hodkinson, docente di sociologia all’Università del Surrey e co-autore del libro Sharing Care, ha condotto uno studio quinquennale focalizzato sui padri caregiver e ha notato un cambiamento significativo. I dati raccolti nel 2021 mostrano un’evoluzione nelle percezioni legate allo stigma che tradizionalmente colpiva i papà casalinghi. Nel 2016, infatti, alcuni padri riferivano di sentirsi giudicati per non lavorare. Altri temevano di essere considerati inadeguati come caregiver o percepiti come semplici babysitter temporanei. C’era anche il timore, seppur raro, di non essere visti di buon occhio dalle madri nei parchi giochi o in altri spazi pubblici dedicati ai bambini. Queste problematiche sembrano essere meno frequenti nella seconda fase dello studio, forse perché gli uomini sono diventati più sicuri del proprio ruolo.

In fondo, la figura del padre sbadato si è ben radicata nella cultura popolare nel tempo, da Homer Simpson a Papà Pig di Peppa Pig. Tuttavia, qualcosa sembra cambiare. L’anno scorso Harriet Walker, giornalista del The Times, ha celebrato l’emergere del “doesband”. Il termine è un neologismo inglese che combina le parole “do” (fare) e “husband” (marito), riferendosi a un marito che partecipa attivamente alle faccende domestiche e alla cura dei figli senza bisogno di essere sollecitato. Secondo Walker, il “doesband” sa dove si trova lo sciroppo per bambini, quando serve il set da balletto, e si occupa di nutrire, lavare, mettere a letto i figli, e persino di svuotare i famigerati mangia-pannolini.

Questi segnali culturali, pur non rappresentando sempre cambiamenti strutturali, possono indicare una direzione verso cui la società si sta muovendo.

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