Scuro Chiaro

Se pensate che George Clooney si dia solo alle pubblicità del caffè in cialde svizzere, sbagliate di grosso. Un miliardo di dollari: è questa la cifra da capogiro che ha reso Clooney l’attore più pagato nel 2017, e non per le poche pellicole che aveva girato in quell’anno, bensì per la vendita del suo marchio Casamigos Tequila alla multinazionale inglese Diageo. Sebbene non fosse la prima azienda di bevande alcoliche posseduto da una star, Casamigos ha segnato l’inizio di una nuova mania delle celebrità rispetto alla produzione di beverage. Nei due anni successivi, la tequila è rimasta salda in testa alle categorie più gettonate, conquistando anche l’attore e wrestler Dwayne Douglas Johnson, conosciuto come The Rock, che ha fatto una fortuna grazie al suo brand Teremana.

I prodotti delle aziende sostenute dalle star sono oggi quelle che hanno vendite più alte online. E non c’è da stupirsi, davanti al cospicuo seguito che le celebrità hanno sui social media, in particolare su Instagram, e alla loro possibilità di connettersi con il proprio pubblico condividendo contenuti alternativi e inaspettati. Per fare un esempio, con 319 milioni di follower, The Rock vanta il secondo profilo più popolare su Instagram, macinando numeri stratosferici a ogni clip dedicata alla tequila.

Non meno rilevante è lo stile di vita proposto dai personaggi famosi, irresistibilmente aspirazionale, il più delle volte in oasi di relax e con un bicchiere in mano. Se aziende iconiche nostrane come Marchesi Antinori arrivano a 120 mila persone, marchi a stelle e strisce come Avaline di Cameron Diaz li superano di gran lunga, tra i 170 mila sull’account business e i 9 milioni e mezzo su quello personale dell’attrice.

Sarebbe riduttivo farne una questione di sole metriche quantitative sui social. A rendere attraenti i profili online è soprattutto una maggiore sperimentazione di contenuti digitali. L’account Instagram vitivinicolo Sun Goddess della 9 volte vincitrice ai Grammy Awards e candidata a due Premi Oscar Mary J. Blige, ad esempio, unisce parecchi scatti promozionali pettinati ad alcune foto che ritraggono la cantante nei vigneti. Sembra scontato, ma l’apparizione di attori, musicisti e sportivi famosi sui social media innesca una percezione più intima da parte del pubblico, che avverte la possibilità di curiosare anche nel backstage della loro vita. 

Anche gli studi accademici lo confermano: la possibilità di interazioni parasociali da parte dei consumatori online e l’affidabilità percepita della celebrità di turno ha un effetto positivo sulla credibilità del suo brand, che successivamente conduce all’intenzione di acquisto di un prodotto. L’ascesa costante del consumo di vino rosato, con un tasso di instagrammabilità superiore agli altri, è una delle tante testimonianze dell’influenza delle star rispetto a una tendenza. Il giornalista musicale Ben Sisario sul New York Times ha raccontato come “il marketing dell’alcol delle celebrità tenda a basarsi sullo stile di vita percepito delle sue mascotte. Bevi la tequila Casamigos di George Clooney, per esempio… e acquisisci parte del suo glamour da star del cinema. Vuoi fare festa come Jay-Z? Compra un Armand de Brignac da 850$.”

Un meccanismo interessante intercettato già da gruppi di beni di lusso del calibro di Moët Hennessy Louis Vuitton (LVMH), che ha imbastito alcune collaborazioni esclusive: con la star del reggaeton Maluma per il suo marchio Hennessy Cognac, e con Lady Gaga e Lenny Kravitz per il suo Dom Champagne Perignon. Obiettivo finale del colosso? Raggiungere le generazioni Y e Z che, report alla mano, dovrebbero incidere per il 45% delle vendite entro il 2025

Le fasce più giovani, in particolare negli Stati Uniti, hanno premiato anche la collaborazione tra l’azienda 19 Crimes e Snoop Dogg, abbinamento perfetto in quanto a personalità fresca e tagliente di entrambi. Si tratta infatti di un marchio che trae ispirazione dalle migliaia di detenuti britannici che nel XVIII secolo furono trasferiti forzatamente in Australia: un esilio che riguardava i colpevoli di almeno uno di 19 reati, alcuni dei quali assai particolari come il furto di piante o il travestimento da egiziano. Coerenti da capo a piedi. 

Anche le incongruenze, tuttavia, possono essere compensate dalla statura particolarmente elevata e credibile di una celebrità. Pensiamo a David Beckham, che si è sempre dichiarato apertamente astemio per anni, e che a un certo punto ha deciso di accostarsi al whisky Haig Club su intuizione dell’imprenditore britannico Simon Fuller: il nome dell’ex calciatore è stato usato di proposito proprio per avvicinare i Millennial ancora nuovi alla cultura del whisky.

Nel febbraio dello scorso anno, il lancio di 818 Tequila della supermodella Kendall Jenner si è attirato non poche critiche e indignazione da parte delle comunità di americani-latini e messicani. L’accusa è stata quella di appropriazione culturale indebita, poiché Jenner non sembrava avere legami con il Messico, né tantomeno conoscenza della cultura nazionale. Non solo: sui social è stata attaccata anche per via della preoccupazione rispetto agli eventuali danni territoriali che la tendenza VIP di produrre tequila con l’agave starebbe causando in Messico, oltre allo sfruttamento dei lavoratori. Infine, il riferimento numerico “818” nel naming, rimanderebbe al suo quartiere privilegiato di Los Angeles. Un disastro a tutto tondo, insomma.

La lezione che insegna il caso di 818 Tequila è che l’autenticità del progetto e la ricerca di partner territoriali giusti sono i punti cardine che fanno poi la differenza. Invivo & Co è un’azienda vinicola neozelandese, con sede nella storica cantina Te Kauwhata a sud di Auckland, che produce vino in partnership con il conduttore televisivo e comico irlandese Graham Norton e l’attrice Sarah Jessica Parker. Il coinvolgimento delle celebrità è totale, dalla miscelazione dei vini alla progettazione dell’etichetta. I loro vini hanno vinto numerosi riconoscimenti in vari concorsi enologici internazionali; il loro approccio etico alla raccolta fondi e al marketing ha conquistato anche un New Zealand Marketing Award nel 2020. Il successo nel novembre 2021 si è esteso anche al digitale, quando Invivo & Co è diventata la prima azienda vinicola neozelandese a lanciare un NTF e a venderlo dopo due giorni per 0,08 ETH (Ethereum), circa 132 euro.

Chi sta dall’altra parte dello schermo si aspetta sempre più momenti in cui i personaggi famosi sovvertano i rodati meccanismi da influencer e creino occasioni di racconto meno statiche e passive, bensì più spontanee e giocose come l’approccio collaborativo di TikTok. L’attore Ryan Reynolds, ad esempio, usa il suo umorismo per entrare in contatto con i suoi fan, anche per raccontare il suo gin Aviation. Anche il collega Matthew McConaughey, per il bourbon Wild Turkey che ha creato con il maestro distillatore Eddie Russell, sfodera l’arte dell’intrattenimento che ben conosce. Lo stesso star-system quest’anno alla notte degli Oscar non ha rinunciato al brindisi con bottiglie di champagne di un insider, Brad Pitt, rimpiazzando la storica Maison Piper-Heidsieck. Come ci ricordano i rotocalchi, nel 2008, quando ancora scorreva amore con Angelina Jolie, Pitt ha acquistato la proprietà Chateau Miraval in Provenza, e insieme hanno iniziato a produrre rosé con l’enologo Marc Perrin. E nonostante divorzio e beghe legali, il vino continua a raccogliere consensi. Intanto in Italia, dalle Tenute Albano Carrisi e Futura 14 di Bruno Vespa in Puglia alla Contrada Colle del Giglio di Jury Chechi nelle Marche, fino al Vino Gerry Scotti nell’Oltrepò Pavese, il panorama nostrano rimane decisamente più modesto e circoscritto. Forse, più provinciale, ecco.

Scendendo più in profondità, molti di questi cocktail tra star e aziende di superalcolici affrontano questioni sociali o cercano di promuovere un cambiamento positivo nelle persone. Un caso interessante è quello della tequila (sì, ancora lei) della cantante e attrice britannica Rita Ora: è prodotta interamente da donne. La sua Próspero Tequila nasce nel 2019 da una collaborazione con la società di marketing di alcolici Conecuh Brands e con l’esperta distillatrice messicana Stella Anguiano. Una bella rivoluzione, in un’industria ancora una volta dominata dagli uomini, e genuina. Il rischio di essere accusati di pinkwashing, o di greenwashing, è sempre dietro l’angolo, e alle belle parole è sempre meglio far seguire fatti concreti.

Nella Walk of Fame da bere non trovano spazio solo le star che producono alcool, ma anche gli artisti che stanno rendendo ancora più desiderabile il bere, e in particolare la birra. Benché sia vero che non si giudica una bottiglia o una lattina dall’etichetta, la cura del design rimane senza dubbio un potente strumento di marketing sia per le cantine che per i birrifici artigianali. Basta fare un giro tra gli scaffali di un supermercato: sulle confezioni di birra artigianale si trova qualsiasi cosa, da foto a forme astratte fino alla grafica ispirata ai cartoni animati, estetica particolarmente in ascesa negli ultimi anni. Il motivo? L’intuizione di intercettare una fascia demografica di adulti, soprattutto Millennial, interessati a forme di intrattenimento tradizionalmente destinate ai bambini.

Ancora una volta, il desiderio di questi prodotti evocativi di un’infanzia passata è stato amplificato dall’emergenza sanitaria, che ha visto le persone cercare sollievo dallo stress psicologico e dalle preoccupazioni relative alla salute proprio nei giocattoli, nei videogiochi e in altre attività ludiche. 

Sono lontani i tempi in cui le lattine di birra erano considerate l’alternativa economica alle bottiglie, per chi era troppo giovane oppure non poteva permettersi di spendere molto. Oggi su Instagram l’hashtag #beercan viene regolarmente utilizzato per archiviare con un certo orgoglio identitario foto di confezioni illustrate, a oggi più di 247mila. Insomma, grazie ai social media e a blog come Oh Beautiful Beer, che “celebra il design grafico straordinario del mondo della birra”, i brand sono chiamati a pensare (o ripensare) bene le proprie scelte visive per conquistarsi innanzitutto una maggiore visibilità. Tale fenomeno ha a che fare con la cultura di Instagram e quanto ha stimolato una diversa rappresentazione dei diversi stili di vita: le persone sono appagate dall’essere viste con determinati alimenti o un determinato brand più che mai, perché possono condividerlo su larga scala in un tap. Le lattine diventano simbolo di valori e idee vicine agli interessi dei consumatori: design moderno e colorato, ingredienti di qualità, produzione locale, sostenibilità e autenticità.

Da qualche tempo, alcuni marchi di birra hanno iniziato a coinvolgere illustratori e artisti quotati per combinare cartoni animati e messaggi irriverenti, prendendo così una posizione anti-establishment nel settore. In fondo, sfidare lo status quo, anche con la proposta di sapori non convenzionali, è stato un tratto distintivo del movimento artigianale sin dal suo inizio. La Clown Shoes Beer di Boston si concentra, ad esempio, sulla sperimentazione di ingredienti, tecniche e packaging con opere d’arte accattivanti. Ad aggiungere un tocco visivo in più al brand, è stato coinvolto il designer di etichette Michael Axt che, con i suoi fumetti e le sue illustrazioni fantasy, svela la sua passione smodata per i videogame. Quasi ogni lattina dell’azienda nasconde un paio di scarpe da clown rosse illustrate, che si rifà al naming del brand, aggiungendo così una divertente caccia al tesoro all’esperienza del consumatore. Inoltre, la Clown Shoes Beer offre inoltre la possibilità di aggiungere ai propri ordini riproduzioni delle opere d’arte da colorare, disponibili anche per il download dal sito web.

Michael Van Hall, artista di Washington DC che ha lavorato con il birrificio Stillwater, ha raccontato come che lo scopo di disegnare una lattina non risponde solo a esigenze di marketing ma «mi piace pensare che il mio lavoro dia alla birra più valore. Se posso raccontarti una storia, coinvolgerti, farti sentire bene, allora mi sento come se non stessimo solo prendendo i tuoi soldi, ti stiamo dando qualcosa in più che è divertente, è intrattenimento, è stimolante».

Altre aziende, invece, hanno scelto come testimonial sulle proprie lattine serie animate popolari e a tratti sovversive come i Simpson, South Park e Family Guy. Ancora una volta, l’effetto di connessione emotiva con il pubblico è assicurato, proprio per via della riconoscibilità dei tratti e dei personaggi.

Combinando immagini infantili con elementi più interpretabili da adulti, i cartoni animati possono conferire ai brand un’immagine irriverente, basti pensare ad artisti come Archer, BoJack Horseman e Big Mouth che con i loro lavori hanno saputo decostruire l’idea che il disegno sia un intrinsecamente adatto ai bambini. Le critiche non mancano neanche in questo caso. Nel 2020, l’organismo di vigilanza sul commercio di bevande del gruppo Portman si è pronunciato a favore del birrificio artigianale Hammerton a seguito dell’accusa secondo cui le lattine di Soursop e Guava Gose utilizzavano immagini che avrebbero potuto attirare i bambini. Inutile dire che l’episodio in realtà non ha fatto altro che rafforzare una volta di più l’entusiasmo social intorno a questa azienda. 

Rispetto alle tematiche rappresentate, il trend della grafica della birra artigianale ruota spesso intorno allo spazio. Per la maggior parte di noi, gli astronauti sono quegli esploratori in grado di sfidare i limiti umani, dunque perfetti portavoce dello spirito innovativo e rivoluzionario del segmento di mercato. Non ultimo, l’ascesa dell’industria spaziale privata ha contribuito ad aumentare la popolarità delle astronavi e degli astronauti. La New Bristol Brewery unisce tutti questi elementi in Summacrush, una IPA prodotta con la varietà di luppoli Galaxy e la cui etichetta presenta la mascotte scimmia-astronauta del birrificio che contempla una sfera luminosa.

E se la dimensione fisica non bastasse, ci sono birrifici che hanno pensato bene di massimizzare il potenziale del proprio brand ispirato all’animazione non limitandolo alle sole etichette ma aggiungendo una dimensione multimediale. Creato dall’agenzia di design Frost Motion per la New Belgium Brewing, Voodoo Ranger è uno scheletro con gli occhiali ispirato alla cultura rock degli anni ’60 e ’70 e presentato agli appassionati come “il più famoso influencer della birra artigianale, icona e cadavere della moda!”. E così, attraverso meme e brevi video animati sulla sua pagina Instagram, il brand trasporta i consumatori nell’universo parallelo di Voodoo Ranger, nome della IPA a lui collegata, stimolando l’interazione tra digitale e analogico. Altro che Clooney.

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