Scuro Chiaro

In che modo la digitalizzazione ha trasformato il settore dalla moda? Quali sono gli ultimi trend legati al connubio digital e fashion? In che modo sono cambiati i nostri comportamenti? L’abbiamo chiesto a Giuseppe Maiorana, classe 1992, appassionato da sempre di marketing. Contemporaneamente amante della moda e delle mode, sia come espressione creativa che come fenomeno sociale, nel 2017 è risutlato tra i migliori studenti italiani e ha ricevuto il premio di Laurea Comitato Leonardo grazie alla tesi Digital Fashion Disruption. Nel 2018, viene pubblicato all’interno della collana My Book di Gangemi Editore il suo saggio dal titolo “Diritto all’informazione nell’era dell’impazienza, dalle fake news allo scandalo Cambridge Analytica”. Attualmente Giuseppe si occupa di digital marketing e social media management presso la Fondazione Fashion Research Italy. Buona lettura.

Digital fashion disruption: a cosa ci riferiamo con questo termine e in che modo ti sei avvicinato a questo tema?

Per spiegare cosa si possa intendere con Digital Fashion Disruption vorrei iniziare dal lontano 2001, quando a una domanda sugli emergenti fenomeni legati alla digitalizzazione e alle possibilità embrionali di vendita di prodotti online, Valentino Garavani rispose:  

 “Personalmente credo che i miei abiti debbano essere visti da vicino, non credo negli acquisti via video o internet perché possono dare il profumo della sfilata, ma ripeto, non la realtà dell’abito”

– da GRAND UNION ITALIA, 2016, p.145. Digital megatrend in the fashion market. (s.l)

Il pensiero dello stilista non lasciava intravedere alcun margine di possibilità nell’adozione dei nuovi sistemi digitali. La moda era ancora elitariamente radicata nell’esperienza sensoriale che il prodotto garantiva; mediante l’insieme di stimoli tattili, visivi e olfattivi fruibili solo in un negozio fisico. La digitalizzazione poteva piuttosto impoverirne la dose di glamour ed unicità che doveva costantemente fruire. Eppure, oggi, questa visione delle cose sembra per certi versi incomprensibile e sicuramente obsoleta.

Tenendo conto infatti degli ultimi dati dell’Osservatorio eCommerce B2c – Digital Innovation le vendite online di prodotti d’abbigliamento in Italia sono state pari nel 2019 a 3,3 miliardi di euro, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente; posizionando il comparto al secondo posto dopo i prodotti Informatica & Elettronica. Un dato, in sintesi, da cui si evince come il settore abbia completamente modificato l’approccio verso il digitale, che agli inizi del secondo millennio veniva percepito con scetticismo e distacco ma che in breve tempo venne inglobato da tutti i livelli aziendali, nessuno escluso. Il digital lasciava infatti intravedere nuove opportunità che non potevano essere trascurate in una società sempre più complessa, dove il tempo diventava la risorsa più scarsa.

Tra la fine degli anni ‘90 e l’avvento del 2000, gli utenti iniziarono a usare con più frequenza i nuovi strumenti: le prime pagine web, le neonate piattaforme di vendita online, i quasi sconosciuti social network, creati spesso per gioco e poi diventati – si pensi a Facebook – aziende quotate in borsa. Il mondo da analogico stava diventando digitale e la moda non poteva stare a guardare. Avvenne quindi quello che si può definire disruption, un inglesismo usato per identificare un fenomeno o un evento il cui manifestarsi determina dei profondi cambiamenti nella struttura di un’azienda, di un settore oppure del mercato stesso. Questo stravolgimento si amplificò con l’avvento degli smartphone a partire dal 2007. Una data fondamentale perché impose al settore una nuova consapevolezza: tutto era diventato a portata di un solo click e l’unica distanza che intercorreva fra l’azienda e il consumatore era pari a quella fra la sua mano e la tasca dei propri jeans. Da quel momento in poi anche le maison più scettiche, soprattutto quelle dell’haute couture, investirono nel digitale. Non a caso durante un’intervista nel 2007, Giorgio Armani sosteneva:

“L’Haute Couture affonda le sue radici nella storia della moda, è il punto più alto della creatività e dell’artigianalità, è sempre stato un mondo chiuso e per pochi. Oggi attraverso la democrazia del web possiamo dare un posto in prima fila a tutti”

– da Michela Ornati, Oltre il CRM: la customer experience nell’era digitale. Strategie, best practices, scenari del settore moda e lusso. Franco Angeli Edizioni

Si moltiplicarono allora le pagine online che da vetrine statiche, come fossero una fotografia di lookbook e cataloghi, diventarono vere e proprie piattaforme in grado di catapultare il consumatore nell’immaginario di marca. Crebbe l’interscambio di idee ed opinioni sui social network direttamente con gli addetti ai lavori nel fashion. Si definirono le caratteristiche tecniche per l’acquisto di prodotti online: da casa o in movimento, sulla metro o durante la coda per prendere un aereo.

È stato in questo momento che la moda si è smaterializzata alla ricerca delle nuove comunità digitali, sempre più affamate di soddisfare vecchie abitudini non più, o meglio, non soltanto nel mondo fisico quanto piuttosto in quello digitale. Una sfida potremmo dire vinta ma costantemente in bilico fra la frenesia dell’avanzamento tecnologico e il soddisfacimento dei bisogni degli individui, che per inciso non sono mai cambiati sin dalla notte dei tempi.

Quali sono i trend nel settore fashion che sono stati alimentati proprio dal digitale negli ultimi anni?

La nuova costumer journey (il percorso che il consumatore compie dal momento in cui percepisce il bisogno di qualcosa fino al soddisfacimento dello stesso), conseguenza primaria dell’adozione del digital, è alla base dei trend registrati negli ultimi anni, ai quali il settore ha dovuto rispondere in maniera precisa e strutturata. Per capire al meglio questo punto è doveroso fare riferimento al concetto di micromoments, avanzato da Google nel 2015 (non perdetevi questo video).

Prima della diffusione del digital e in particolare degli smartphone, il percorso di acquisto era scandito da un insieme di step (principalmente) offline secondo una logica a imbuto. Oggi è frammentato in svariati piccoli momenti che vedono la rete come primario punto di partenza; ridefinendo il concetto stesso di sales funnel.

Google teorizza inoltre il “momento zero della verità, cioè il preciso istante in cui al percepimento del bisogno cerchiamo di risolverlo compiendo una ricerca online. Le nuove modalità con cui gli utenti intraprendono il proprio percorso di acquisto hanno definito le tendenze del settore moda degli ultimi anni, ponendo le basi per quelle future.

Al primo posto il mobile commerce: l’acquisto di abbigliamento direttamente da smartphone. La crescente richiesta ha imposto al settore di rendere le piattaforme mobile first, fast ed estremamente intuitive per venire incontro alla domanda di un consumatore che accede alla rete ormai quasi unicamente da mobile. Diretta conseguenza, il social commerce, acquistare cioè tramite i social media. Non è un caso che a partire dal 2018 si siano diffuse features che permettono di iniziare e concludere gli acquisti su piattaforme come Facebook o Instagram e prima ancora Depop o 21Buttons.

Ancora in corso sono le strategie che il settore sta attuando legate al fenomeno dell’omnicanalità: una gestione integrata e fluida dei punti di contatto con cui l’utente interagisce. Proprio in questo caso si può parlare di un approccio seamless, senza cuciture, che mira a soddisfare in maniera dinamica, ma coordinata, l’esperienza di acquisto del consumatore, che rende intercambiabili offline ed online. Interessante, a tal proposito, il caso Boggi Milano. Da attenzionare infine la realtà aumentata, che fornisce valore aggiunto alla customer experience grazie alla prova simulata di look e abiti mediante digital mirror in store o app try-on sullo smartphone. Un esempio tutto italiano Yoox Mirror, feauture attraverso cui è possibile creare un proprio avatar confrontando svariati look in un camerino digitale.

Lato consumatore, in che modo sono cambiati i nostri comportamenti rispetto le scelte che facciamo quando compriamo vestiti e accessori?

La rete ha permesso di ridurre il margine di incertezza che ognuno di noi percepisce durante il processo decisionale.  Grazie all’interconnessione fra moda e digitale si sono quindi verificati interessanti mutamenti, diventati ormai abitudini consolidate, che spesso passano inosservate.

È il caso di iniziare dalla pratica del webrooming. Il consumatore utilizza lo smartphone per fare ricerche, comparare i prodotti e i prezzi, informarsi; dipanando il più possibile i propri dubbi sull’oggetto da acquistare. La transazione economica non si conclude nel canale online ma negli store fisici, perché testare il prodotto è un elemento discriminante per la decisione d’acquisto.

All’opposto, la pratica dello showrooming. Si verifica quando un consumatore si reca in negozio per il possibile acquisto di un prodotto senza tuttavia concludere la transazione economica nel canale fisico bensì in quello virtuale (anche nei siti non istituzionali dell’azienda).

Altro interessante comportamento legato ai consumatori price sensitive riguarda la comparazione dei prezzi di un particolare prodotto, consultando dallo smartphone le piattaforme e-commerce competitor, mentre si è ancora in store.

L’uso dei devices digitali è anche fortemente legato a motivazioni di tipo personale e non solo di spesa. Basti pensare alla necessità di inviare foto dei look provati in camerino alla propria community per approvazioni o per ottenere consigli. La realtà aumentata e le features ad essa collegata avranno con molta probabilità effetti sul comportamento di acquisto del consumatore, rendendo sempre più sottile le differenze fra mondo fisico e virtuale e riducendo i margini di incertezza con il solo uso dello smartphone.

Quanto conta oggi un human approach nel marketing digitale?

Il concetto che il marketing miri a vendere qualcosa a qualcuno è semplicistico. Secondo tale logica la prima e ultima finalità di questa branca economica si limiterebbe al perseguimento di ricavi. Non si deve perdere di vista la finalità primaria del marketing: creare valore alle persone. A insistere su questo concetto Andrew Stephen, professore alla Saïd Business School di Oxford ed eminente voce sulle tematiche di digital marketing a livello internazionale. Stephen sottolinea come sia di fondamentale importanza riportare il focus sugli attori coinvolti. Primi fra tutti i consumatori, da intendere come individui in grado di provare sentimenti ed emozioni, che compiono attività quotidiane affrontando problemi e cercando soluzioni.  Da questa visione viene meno il limite di trattare le persone come fredde unità all’interno di database, aprendosi verso una dimensione di ascolto che miri a soddisfare i loro bisogni. Per farlo occorrono certamente i dati, attraverso l’uso di tecnologie in grado di indirizzare il marketing verso una maggiore comprensione dei bisogni e quindi una migliore offerta di prodotti e servizi.

Questo nuovo approccio coinvolge anche gli addetti ai lavori all’interno di una organizzazione, che non diversamente da altri sono persone, questa volta direttamente coinvolte nei processi di marketing con l’obiettivo di offrire il maggior valore ad altre persone. La dimensione si amplia verso tutti gli altri individui all’interno dei processi aziendali, dai manager fino ai fornitori, e più in generale all’intera società. Ognuno di questi attori sta insieme all’altro grazie all’interscambio di valore che il marketing permette di ottenere in una logica win-win. Stephen definisce questo punto come il “marketing with purpose”.

Alla luce di tali ragionamenti, si può sostenere che il marketing non miri più a vendere qualcosa a qualcuno? Probabilmente si, perché le persone sono alla ricerca di soluzioni di valore, siano esse concrete o ideologiche. Se quindi le estensioni adblock aumentano o le pubblicità vengono semplicemente bypassate qualcosa in questo interscambio di valore è andato storto e deve essere modificato al più presto.

Ci sono letture che consigli su questi temi per approfondire?

Moda e digitale sono due temi in costante evoluzione, i cui cambiamenti si verificano con estrema velocità, risultato spesso dell’interconnessione di fenomeni emergenti. Pertanto, è necessario attingere da una pluralità di fonti. Spetterà al lettore unire i puntini e trarne le giuste osservazioni, cercando di anticipare le tendenze del prossimo futuro. Proprio per questa ragione vi consiglio di partire dall’Intelligenza delle Formiche di Franchi & Schianchi. Vi regalerà una visione chiara e fluida sulle motivazioni delle scelte che compiamo quotidianamente. Spostandoci verso le tematiche di marketing e moda non può assolutamente mancare nella vostra libreria Marketing della Moda e dei Prodotti Lifestyle di Cappellari. Lo amerete per la facile comprensione dell’interconnessione fra questi due temi. Inoltre, troverete numerosissimi case study ed esempi concreti. Per uno studio più approfondito del digital marketing e non solo vi consiglio di consultare la sezione CMO Network di forbes.com e quella di Marketing & Sales di mckinsey.com.

Si aggiunge a tutto questo una buona dose di curiosità soprattutto mentre navighiamo su Instagram, il social che meglio soddisfa le esigenze del fashion e da cui possiamo trarre spesso interessanti spunti di riflessione. E se proprio non siete ancora stanchi potete scrivermi qui.

Vi aspetto!

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