WOW – Women of Widiba: la finanza finalmente al femminile

Stigma e stereotipi, anche quando amplificati dalla Rete, hanno un ruolo decisivo sul benessere delle persone e sulla conduzione della propria quotidianità, soprattutto quando legati a uno degli elementi cardine della nostra identità: il genere. In particolare, oggi parleremo del genere femminile. Ogni etichetta familiare che i gruppi sociali intorno attribuiscono alle donne per definirle – moglie e madre in primis – possono risultare riduttive rispetto alla complessità della propria vita quotidiana e lavorativa, determinando a volte fattori di stress da affrontare. Ed è un peccato, perché siamo in realtà in un momento storico dove le donne stanno assumendo ruoli sempre più competitivi.

Ma come segnare un cambio di passo? Innanzitutto, va prestata molta attenzione al linguaggio. Non è solo una questione di come declinare al femminile certe professioni o certi incarichi, piuttosto di come leggere i sottotesti: spesso è proprio tra le righe che si nascondono i nemici dell’inclusione e della parità di genere. Può succedere con una battuta infelice tra colleghi, un messaggio Whatsapp indelicato, un emoji sbagliato. Infine, c’è da considerare che ci sono settori spesso ancora associati al solo genere maschile, come quello finanziario.

Numerosissime le iniziative, anche in Italia, che stanno tentando da alcuni anni di sgretolare stereotipi e luoghi comuni. Per il settore di consulenza finanziaria, c’è il progetto WOW – Women of Widiba, promosso da due anni a questa parte proprio da Banca Widiba, un percorso di valorizzazione della consulenza

al femminile che si traduce in una serie di iniziative di educazione finanziaria (un tema che abbiamo già trattato qui su Be Unsocial). E no, non si tratta di un’iniziativa di storytelling sull’importanza delle quote rosa, bensì di un programma di valorizzazione culturale del ruolo della consulente.

Ebbene sì, ci sono tante, tantissime donne che si occupano di “soldi”, anche se non se ne parla ancora a sufficienza, in un contesto culturale dove percettivamente c’è ancora “l’uomo che guadagna” e poi c’è “la donna che spende” (spesso in modo futile, a volte irragionevole e sempre umorale). In realtà, le donne non spendono tanto per spendere, lo sappiamo, e lo sa anche Forbes che nel 2019 ha registrato che raggiungono una media dell’80% per quanto riguarda la totalità delle decisioni di acquisto. Anche su categorie molto diverse dai soliti luoghi comuni, anche legate al risparmio finanziario.

WOW – Women of Widiba è un esempio di come si possa valorizzare una professione partendo da un profondo lavoro di sensibilizzazione rivolto al mercato interno, alle professioniste del settore stesse e ai clienti. Tra le attività proposte, sono in corso ad esempio sessioni online con Alexa Pantanella, esperta di come le parole possono veicolare degli stereotipi. Dopo un primo passaggio a Milano, dove inizia a occuparsi di marketing e comunicazione a livello internazionale per Procter & Gamble, si trasferisce a Parigi dove trascorre otto anni e diventa Managing Director di una delle agenzie del Gruppo OMNICOM. Nel 2014, rientra in Italia per diventare Head of Marketing Communications and Media in Luxottica. E, soprattutto, due anni fa fonda Diversity & Inclusion Speaking, dedicato alle aziende per scoprire e superare gli stereotipi veicolati dai linguaggi, utilizzati all’interno, così come all’esterno delle organizzazioni stesse.

Per Banca Widiba e le consulenti finanziarie, la Dottoressa Pantanella ha tracciato durante i vari incontri le linee del racconto stereotipato che ancora oggi avviene nel marketing, nella pubblicità e nei media, evidenziando gli automatismi rispetto i pregiudizi che si formano nella mente degli uomini (ma anche delle donne stesse). E ha indicato come il lavoro sulle parole, quelle di uso abituale, possa contribuire a rendere più visibile il ruolo – e il valore aggiunto – del femminile all’interno dell’ambiente finanziario.

Innanzitutto, Pantanella parte dall’etimo della parola stereotipo, che nasce dal mondo tipografico, dal francese stéréotype. La stessa Treccani ci restituisce questa prima definizione:

“di stereotipia, realizzato con il procedimento della stereotipia: ristampa s. di un volume; lastre s., le stereotipie, ossia le controimpronte, delle forme di composizione tipografica”.

E infatti, il primo a utilizzare questo termine è stato un incisore francese, Firmin Didot, per indicare proprio il metodo di duplicazione delle composizioni tipografiche e dei cliché: l’originale da duplicare veniva pressato contro uno speciale tipo di cartone resistente al calore, detto flano (dal francese flan), che ne riceveva l’impronta; nell’impronta così ottenuta si versava la consueta lega tipografica ottenendo una o più matrici in rilievo per la stampa. I calchi, in soldoni.

Il concetto è stato poi mutuato in psicologia. In questo caso, ci riferiamo a una rappresentazione mentale, una riproduzione, un distillato: lo stereotipo porta a sintesi una serie di informazioni che abbiamo assorbito e incamerato di un singolo o di un gruppo, per esperienza diretta o perché ci vengono trasmesse. Come viene spiegato bene anche su Sapere.it, “d’altra parte uno stereotipo non si basa su una conoscenza di tipo scientifico, ma piuttosto rispecchia una valutazione che spesso si rivela rigida e non corretta dell’altro, in quanto attraverso gli stereotipi si tende in genere ad attribuire in maniera indistinta determinate caratteristiche a un’intera categoria di persone, trascurando cioè tutte le possibili differenze che potrebbero invece essere rilevate tra i diversi componenti di tale categoria.” I pregiudizi, infatti, ne sono i parenti più stretti.

Come è facile intuire da queste premesse, gli stereotipi sono fortemente legati al linguaggio, il terreno fertile dove vivono, si sviluppano, diventano solidi (e a volte irremovibili). Nel suo pitch, la Dottoressa Pantanella condivide questa citazione, ad esempio di come possano diventare radicati e di come sia difficile osservarli, a meno che ci fermiamo a riflettere sul contenuto.

“Una delle cose divertenti del mercato azionario,
è che ogni volta che un uomo compra, un altro vende,
ed entrambi pensano di essere astuti.”
William A. Feather,
autore ed editore statunitense

A metà maggio su TDM Magazine è apparso un long-form piuttosto esaustivo sul Linguaggio inclusivo in italiano: guida pratica per chi scrive per lavoro (e non) con tanto di consigli ed esempi su come creare testi equi dal punto di vista del genere. Non è solo una questione di femminile: come anticipato nelle premesse generali del pezzo, “scrivere in modo inclusivo significa trattare nel modo fa accenno anche alle proposte su come cambiare la norma in italiano. Nell’italiano scritto è abbastanza diffuso l’uso dell’asterisco per troncare la vocale finale; meno invece l’uso della desinenza -u. Tali difficoltà hanno portato alla nascita di una proposta di italiano inclusivo basata sulla schwa per il singolare (ǝ) e la schwa lunga per il plurale (з). Una questione ancora aperta, ad ogni modo, come dicevamo anche qui.

La sociolinguista specializzata in comunicazione mediata dal computer Vera Gheno ha scritto sul tema anche un denso saggio per la casa editrice Effequ, Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole. Un libro, come recita la sua presentazione, che “mostra in che modo una rideterminazione del femminile si possa pensare a partire dalle sue parole e da un uso consapevole di esse, vero primo passo per una pratica femminista. Tutto con l’ironia che solo una social-linguista può avere.”

Tornando agli incontri WOW – Women of Widiba, Alexa Pantanella parla di come spesso si subisca una visione androcentrica, un punto di vista maschile al centro della propria visione del mondo, cultura e storia, emarginando culturalmente la femminilità. Ancora una volta, basta fermarsi sul linguaggio e su come, ad esempio, al maschile venga assegnato un doppio ruolo: il proprio e il plurale: lo studente, gli studenti (maschi e femmine che siano all’interno del gruppo in classe). Inoltre, è interessante notare come anche alcuni termini, come “uomo”, diventino per estensione simbolo di altro, in questo caso del “genere umano”. Ecco perché si parla di maschile sovraesteso o generico. Pensiamo al claim ricorrente: “Da sempre investiamo sulla tecnologia più evoluta che esista: l’uomo.” Oppure, alle frasi retoriche come “mettiamo al centro le esigenze dei nostri clienti” oppure a certi micro-copy sul web come “un consulente è sempre disponibile per voi”. Uomo, clienti, consulente: poco importa se dietro a questi termini ci siano o meno delle donne.

In verità, gli studi ci dimostrano come all’interno di un’organizzazione aziendale (o di un qualsiasi altro gruppo sociale) un’esposizione continuativa ed esclusiva al maschile generico incida pesantemente sul senso di appartenenza e sull’ingaggio emotivo, e su quanto le donne si sentono coinvolte e chiamate in causa. Nonché sul benessere percepito, come accennavamo nella nostra introduzione.

Un ultimo passaggio è stato dedicato poi a come il primo contatto con gli stereotipi avvenga nel periodo dell’infanzia, soprattutto per via del packaging dei giocattoli e dei prodotti – rosa per le bimbe, blu per i bimbi – e delle verbalizzazioni della pubblicità. Ai maschi vengono spesso rivolte call-to-action come “accetta la sfida”, facendo leva su poteri e coraggio, ancora meglio se espressi nel campo della scienza, dello sport e delle performance. Le femmine, invece, vengono raggiunte da messaggi che hanno più che altro a che fare con l’aspetto fisico, che diventa un elemento imprescindibile, tra make-up e look da curare. La perfezione diventa un valore. Per non parlare poi di tutto ciò che viene associato alle bimbe: cucina, bambolotti e principesse.

Infine, ci fermiamo a fare un’ultima riflessione di contesto riguardo la lettura dei dati relativi alla consulenza finanziaria al femminile. Graziana Pesce, Head of Communication di Banca Widiba, su un approfondimento pubblicato su ABI, il bimestrale dell’Associazione Bancaria Italiana, ha riportato che:

“Oggi la percentuale di donne tra gli iscritti all’albo è di circa il 23% (fonte: albo dei consulenti finanziari presso OCF). Numeri dunque che aprirebbero la strada a una riflessione sistemica, un percorso dedicato all’avvicinamento alla professione ad esempio. C’è un elemento che più di tutti dovrebbe incidere sull’aumento di questo 23%: la consulenza finanziaria si sviluppa a partire dall’ascolto dei bisogni reali delle persone.

Questo approccio richiede visione, pianificazione, progettualità e perché no, soprattutto in questo momento, grande creatività. E le donne, in qualunque contesto, hanno delle caratteristiche innate, consone alla professione, cioè la progettualità che le ricomprende tutte. Le donne hanno un orientamento al lungo periodo, hanno una long view. Le donne progettano: investono per i figli, per un lavoro, per un viaggio e sono più propense a seguire le indicazioni degli esperti.

C’è anche un elemento socio-demo, le donne oggi vivono più a lungo e devono pensare al propriofuturo e sempre più spesso hanno voglia di farsi affiancare nella pianificazione.”

Bonus track, un consiglio di lettura per approfondire il tema del femminile, sia dal punto di vista del linguaggio che da quello di integrazione tra vita familiare e lavorativa.

Bastava chiedere! 10 storie di femminismo quotidiano
di Emma, ed. Laterza, 2020
ISBN: 9788858139233

Dalla quarta di copertina:

“Conosci la scena: sei tornata dal lavoro, hai fatto la spesa, stai preparando la cena e nel frattempo pensi a quando pagare l’affitto / chiamare l’idraulico / prendere la pillola / finire quella mail di lavoro / controllare che i tuoi figli abbiano fatto i compiti / caricare la lavatrice. Tutto questo mentre il tuo compagno ti chiede se per caso sai dove sono finite le sue scarpe.

Hai mai pensato a quante volte il tuo partner ti ha risposto «bastava chiedere», come se tu fossi l’addetta all’organizzazione della casa? Hai mai riflettuto sul delicato equilibrio che cerchi di mantenere rispondendo a un commento inopportuno per evitare di essere definita “isterica”? Ti è mai venuto in mente che non va bene sentirti costantemente responsabile del benessere emotivo o sessuale del tuo partner? Hai mai riflettuto su quanto sia ingiusto che il tuo congedo di maternità sia chiamato da qualche collega “una vacanza”? Se non ci hai mai pensato, scoprirai queste porzioni della tua stessa vita nelle pagine di Emma. E se ancora non sei femminista, scoprirai di esserlo.”

Buona lettura!

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.

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