Ha iniziato a raccontare storie da bambina, munita di due bambole, per far star buona sua sorella. Poi a 12 anni, il suo primo capolavoro letterario: la storia di due migliori amiche che litigano per un ragazzo. Da allora, per fortuna, ne ha fatta di strada, ma una certezza le è rimasta: quella di saper e di voler scrivere e raccontare storie, ma attraverso campagne web e contenuti digitali. Così si racconta Ilaria Carola, neo diplomata alla Scuola Holden in Digital Storytelling. Il suo progetto di fine biennio è Iglù, uno strumento che può permettere alle persone di mettere sotto ghiaccio i propri ricordi, per sempre.

In un’epoca storica che vede Instagram come nemico della nostra memoria, abbiamo sempre più l’esigenza di capire cosa vale la pena salvare, e in che modo possiamo tramandarlo. E se da una parte il digitale ci facilita nel creare contenuti, dall’altra parte oggi i nostri ricordi sono dispersi tra smartphone, servizi cloud, hard disk. Il risultato è che abbiamo un enorme repertorio di fotografie, video, registrazioni audio, ma non pensiamo all’importanza che in futuro avranno per noi e soprattutto per chi ci è vicino. E così il video dei primi passi di nostro nipote o quello scatto un po’ mosso fatto con gli amici rischia un giorno di restar seppellito sotto cumulidi altri contenuti digitali.
Iglù è un’idea di app che funziona come gli album di una volta, quelli che si compravano con parenti e amici per riempirli di fotografie delle vacanze o delle feste trascorse insieme. L’obiettivo di Ilaria è mettere insieme i ricordi più importanti, facendoli sopravvivere.
Abbiamo chiesto a Ilaria di raccontarci di più del progetto e soprattutto da che premesse è nata l’intuizione di indagare questa tematica. Ecco cosa ci ha detto, buona lettura.
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Immaginatevi mentre passeggiate per le strade della vostra città. All’improvviso vi ritrovate folgorati da un bellissimo tramonto: qual è la prima cosa che fate?
A. Scattate una fotografia, poi mettete via lo smartphone e continuare a guardare il tramonto.
B. Scattate una fotografia, poi ideate sul momento un post/storia da condividere sul social del cuore.
C. Scattate una fotografia e la inviate a una persona in particolare.
Qualsiasi sia la risposta che avete scelto, c’è un comune denominatore in tutte le opzioni: che lo vogliate ammettere o meno, ci fermiamo tutti a scattare quella fotografia. Cosa accade però quando la frenesia del voler “catturare il momento” va oltre, spingendoci a immortalare qualsiasi attimo, anche non così significativo? Erik Kessels, artista e gallerista olandese, si è posto questa stessa domanda ben otto anni fa, arrivando a rispondere così:

24 Hours in Photos è una mostra allestita nelle sale del Foam di Amsterdam nata proprio da un esperimento di Kessels: prendere le fotografie caricate nel giro di ventiquattro ore su Flickr, nota piattaforma di fotografie, scaricarle e stamparle. Il risultato è una stanza abitata da più di un milione di fotografie, lasciate per terra come un tappeto spettrale, ingombrante, su cui ritrovarsi costretti a camminare.
Se siete rimasti colpiti da questa immagine sappiate che mentre all’epoca della mostra, nel 2011, erano circa un milione le fotografie scattate ogni giorno, oggi, soltanto in Italia, sono più di cinque milioni, di cui almeno una su cinque scattata appositamente per essere condivisa con amici e parenti.
Quello che accade però è che, dopo aver scattato queste immagini, le lasciamo ad accumularsi nel nostro smartphone fino al tanto temuto momento del “spazio di archiviazione esaurito”. Da qui, tra un sospiro e l’altro, inizia quella che è l’odissea contemporanea: aspettare di avere un momento libero, cercare l’ hard disk per casa, sperare che la memoria dell’hard disk non sia piena, importare le foto, aspettare che tutte siano state caricate prima di rimuovere l’hard disk dal computer. E quando l’odissea è terminata, il sollievo dell’aver liberato spazio nel nostro telefono viene spazzato subito via dalla consapevolezza che tra qualche mese saremo punto da capo.
Noi crediamo che, per quanto macchinoso, in questa maniera stiamo conservando e custodendo i nostri ricordi, ma non teniamo conto di due fattori: il primo è che molto spesso non abbiamo tempo per andare a guardare quello che c’è dentro i nostri smartphone e hard disk, il secondo è che non ci domandiamo mai se abbiamo spazio mentale a sufficienza per ricordare questa mole immane di immagini. Eppure tra quelle 1.000, 2.000 fotografie presenti su i nostri cellulari o tra quelle custodite gelosamente su hard disk e servizi cloud, ce ne sono per ognuno di noi alcune più speciali e significative, alcune che vorremo ricordare per sempre e un giorno, tramandare a chi avremo vicino.
Qui però tocchiamo un altro tasto dolente: la nostra generazione, quella che è cresciuta ascoltando le storie di guerra dei nonni e gli insegnamenti dei propri genitori, crede oggi di non aver nulla da tramandare. I millennial infatti non ritengono di avere grandi lezioni di vita da lasciare in eredità e se proprio sentono di avere qualcosa da raccontare, lo fanno attraverso un post su Facebook , una storia su Instagram o una nota vocale su Whatsapp. Questo perché condividere per il singolo momento presente è facile, richiede giusto un clic, scegliere invece cosa far sopravvivere della propria storia richiede più cure e attenzioni.
Quello che però non consideriamo è che noi, a differenza di tutte le generazioni passate che hanno impiegato estrema fatica per essere ricordate, abbiamo questo mezzo potentissimo e immortale che è il digitale. Per questo e dalla convinzione che non servano grandi storie o vittorie per aver qualcosa da tramandare, ho ideato un’app che metta sotto ghiaccio i nostri ricordi digitali più importanti, Iglù. Ad esempio, questa è una fotografia che è stata scattata circa un anno e mezza fa a me e ai miei ex compagni di classe:

È quanto di più lontano, nell’immaginario comune, possa essere considerato degno di essere tramandato: qui infatti avevamo appena perso 4 a 23 la nostra prima partita di calcetto. Personaggi che davvero hanno meritato di essere ricordati per le loro gesta, come Annibale Scipione, si potrebbero rigirare nella tomba solo guardandola. Eppure io quando guardo questa fotografia ci vedo una delle serate più divertenti della mia vita, anche se non abbiamo vinto, anche se non saremo mai ricordati come quelli che avevano talento sportivo, anzi, semmai il contrario.
Iglù serve a questo: a non permettere che i momenti più significativi della nostra vita, quelli che un giorno vorremmo tramandare ai nostri figli o a chi abbiamo vicino, finiscano per restare schiacciati sotto pile di altre immagini accumulate nel tempo. Immaginate ora quella fotografia sul vostro smartphone che ogni volta che vi capita di guardare vi suscita delle emozioni. Quella mentre ridete con la nonna, sorreggete figli o nipoti, abbracciate un po’ brilli i vostri migliori amici. Siete ancora così sicuri di non aver nulla da tramandare?
Ilaria Carola