The Newtrain Manifesto #1: l’urgenza dell’ecosostenibilità

1. L’ecosostenibilità è un prerequisito per stare sul mercato. È una pretesa urgente e indispensabile, non potrà più essere un vanto pubblicitario o un’invenzione di marketing.

Questa la prima tesi del nuovo manifesto delle ragazze e dei ragazzi del College StoryDesign della Scuola Holden che andremo ad analizzare punto per punto nelle prossime settimane. Essere sostenibili è sempre più irrinunciabile, ma in che modo i diversi messaggi #green influenzano i comportamenti delle persone? Proviamo a fare alcune riflessioni.

Partiamo da un fatto dell’anno passato, per dare un contesto sulle tensioni culturali che stiamo vivendo. Per 11 giorni lo scorso aprile, i membri di Extinction Rebellion sono scesi nelle strade del centro di Londra per partecipare ad atti di disobbedienza civile. I manifestanti si sono incollati ai treni, hanno organizzato palchi in luoghi in tutta la città, hanno bloccato Oxford Circus con una barca rosa di nome Berta e si sono persino incatenati alla casa di Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista dal 2015. Il gruppo aveva tre richieste per il governo: dichiarare l’emergenza climatica, creare un’assemblea dei cittadini per condurre l’attivismo e garantire che il Regno Unito raggiungesse lo zero netto di emissioni di gas serra entro il 2025.

E così, a seguito delle proteste, il Regno Unito è diventato il primo paese a dichiarare un’emergenza climatica nazionale: un enorme passo nella giusta direzione. Tuttavia, nonostante mosse radicali come questa, rimane la diffusa confusione su chi dovrebbe assumersi la responsabilità delle questioni climatiche. Le istituzioni, i cittadini? Certo, gli sforzi collettivi sono senza dubbio più potenti, ma anche le aziende possono incoraggiare il processo decisionale ecosostenibile – capendo meglio quale ruolo svolgono le nostre emozioni nelle scelte pro-ambiente e perché l’orgoglio può essere una leva decisamente migliore rispetto al senso di colpa.

In generale, le azioni a favore dell’ambiente tendono a essere considerate “buone azioni” dalla maggior parte delle persone, ma è altrettanto vero che ci sono parecchie ragioni per cui le persone potrebbero non prendere decisioni a favore dell’ambiente: ignoranza, mancanza di informazioni, sfiducia nelle istituzioni e nei brand. Inoltre, i messaggi che riguardano i cambiamenti climatici o sul degrado ambientale sono sempre molto negativi. Di conseguenza, una delle emozioni negative che spesso si presenta è proprio il senso di colpa. Dunque, è logico: se riesci a far sentire le persone in colpa, uno dei modi in cui possono sentirsi meno in colpa è proprio facendo cose buone per l’ambiente.

Allo stesso tempo, ci sono anche ricerche che suggeriscono di far sentire male le persone non sia la strada più efficace da prendere perché potrebbe portarle a evitare il problema, fino a negarlo del tutto. La verità è che sempre più spesso i messaggi che accusano le persone di essere colpevoli di non comportarsi in modo ecologico possono tradursi in un contraccolpo che blocca i gesti positivi per il ​​futuro. Ad esempio, la Sea Shepherd Conservation Society, un’organizzazione no profit di conservazione marina con sede negli Stati Uniti, ha lanciato una campagna mal assorbita dagli utenti per limitare l’inquinamento da plastica con un’immagine scioccante generata da computer di animali marini soffocati dalla plastica monouso. Da allora ha ricevuto una valanga di critiche sui social media per la rappresentazione grafica della sofferenza, desensibilizzando una larga fetta di pubblico che poteva invece essere attivato.

Altro caso invece quello di #stopsucking, campagna globale che chiede alle persone di smettere di usare cannucce usa e getta: a vincere in questo caso è la consapevolezza che non stiamo facendo tutto il possibile, soprattutto quando iniziamo a guardare gli sforzi degli altri.

@seastraws e le sue cannucce di vetro

Che forse la strada per comunicare il proprio impegno ecosostenibile sia lavorare su una comunicazione basata su emozioni positive, come la speranza, l’ottimismo o l’orgoglio?

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.

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