Il titolo di questo pezzo è una provocazione, certo. Ma voi, dove appoggiate lo smartphone e il computer quando siete al bar, a scuola o per uffici? E quando tornate a casa, che precauzioni prendete prima di poggiarlo sul tavolo della cucina o sopra la coperta del divano?
Qualsiasi sia il vostro schieramento in merito del Coronavirus, alzi la mano chi ha pensato a pulire per bene il proprio smartphone una volta arrivati a casa, soprattutto in questi giorni sospesi tra psicosi collettiva e notizie incerte. Pochi, pochissimi.
Agnese Ottaviano ha una laurea in letteratura finlandese perché le piace il nord Europa, e un diploma in editoria perché le piacciono i libri. Per coerenza vive a Napoli, si occupa di numeri, e oggi ha attirato la nostra attenzione per una riflessione su Facebook alquanto vera:
“Tra le varie norme igieniche che vengono suggerite noto che ne manca una secondo me fondamentale: pulire i device. Sono gli oggetti che maneggiamo più spesso, capita in alcuni casi di portarli vicino alla bocca e, come se non bastasse, capita di condividerli con più persone. […] capita di portare in casa pc e smartphone, poggiarli in cucina o sul letto.”
Abbiamo scambiato due chiacchiere con lei, sperando che sia di ispirazione per aggiungere un piccolo ma importante gesto alla nostra routine quotidiana: che sia vero o meno che il Coronavirus resiste sulle superfici, è una questione di igiene. A prescindere.
Hai ragione. Ci togliamo con cura il cappotto, le scarpe, poi filiamo a lavarci le mani per 20 secondi con acqua calda e sapone, ma dimentichiamo la cosa più importante: i nostri device. A cosa non pensiamo?
Se cappotto e scarpe sono il mondo esterno per antonomasia, i device rappresentano il mondo “baumaniamente” liquido per antonomasia. Non pensiamo a pulirli, credo, perché sono una sorta di appendice del nostro corpo e li maneggiamo senza nemmeno più esserne consapevoli. Com’era? “Scrolling is the new smoking“, bè, tutti i fumatori sanno quante volte ti capita di accendere una sigaretta in automatico.
A inizio millennio lessi un saggio che annunciava l’arrivo di uomini cyborg con tecnologie attaccate al corpo. All’epoca mi fece ridere tantissimo, una fesseria a metà tra fantascienza e apocalisse. Effettivamente, al momento nessuno ci ha installato niente addosso. Però, prova a pensarci quando vedi gente con auricolari bluetooth…

Siamo ossessionati dai flaconcini dell’Amuchina. Ma servono anche al nostro smartphone e al nostro computer o meglio ricorrere a rimedi diversi?
Qualche giorno fa ho rotto il telecomando del garage per averlo lavato con acqua e sapone, quindi, direi, meglio non provarci con i device. A proposito di Amuchina, come igienizzante è sopravvalutatissima, specie quella da supermercato: praticamente gelatina e tantissimo profumo, stop.
Per i device immagino esistano detergenti specifici. Se per gli occhiali esiste tutto un mercato di bottigliette e bottigline costosissime, immagino ne abbiano fatte anche per i pc. Io direi che una spruzzatina di alcool possa andare benissimo. E se siamo per strada, possiamo ordinare uno shottino di vodka… è l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ce lo chiede!
Ma serviva davvero il Coronavirus per insegnarci le norme igieniche di base, anche in relazione alla nostra vita digitale?
Mi costa fatica trovare una risposta diversa da “sì, mancano le norme igieniche di base“. Diciamola più diplomaticamente: c’è margine di miglioramento e i fatti degli ultimi giorni ci invitano a considerare l’igiene come un gesto di senso civile, pari alla raccolta differenziata.

“Non è la più intelligente delle specie quella che sopravvive, non è nemmeno la più forte, la specie che sopravvive è quella in grado di lavarsi meglio le mani“.
Charles Darwin, apocrifo, scovato da Agnese, che ringraziamo!
Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.