Pari e dispari, il podcast di Birra Peroni sulla parità di genere

Birra Peroni ha realizzato insieme alla Scuola Holden un podcast in tre puntate che, partendo dal proprio patrimonio storico e dal proprio impegno sul tema dell’inclusione femminile, apre un confronto sul ruolo della donna, in azienda e in generale nella società italiana.

Frutto del lavoro delle studentesse e degli studenti Demetra Birtone, Lorenzo Carnielo, Alessia Stocchi, Mira di Chio e Lorenzo Guaraldi guidati da Elisa Fulco, coordinatrice del progetto e Brand Heritage consultant, Roberto Tucci, Head of Innovation e docente di Story Design alla Scuola Holden, e Daniela Brignone, Curatrice dell’Archivio Storico e del Museo di Birra Peroni, il progetto è stato presentato in occasione della XXI Settimana della Cultura d’Impresa promossa da Confindustria.

La prima puntata di ‘Pari e Dispari’ è dedicata all’evoluzione della figura femminile nel mondo del lavoro con un dialogo intergenerazionale che porta alla luce i passi fatti fino a oggi e quelli da fare domani. Le conquiste del passato, le battaglie del presente e le possibilità di un futuro prossimo sono raccontate da un coro di voci femminili per parlare di un mondo fatto di pari e di dispari che si può cambiare. Ci sono le voci di Arianna Schiavoni, HR di Birra Peroni; Sara Giordano, dipendente senior di Birra Peroni, e Susanna Passamonti, dipendente junior; e anche di BeUnsocial attraverso Alice Avallone, ricercatrice di insight e small data per le aziende.

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Ecco le nostre riflessioni più ampie rispetto alla chiacchierata con gli autori.

Sul lavoro hai a che fare molto con le generazioni. E, non solo nel digitale, le hai analizzate in diversi settori davvero con precisione chirurgica. Cosa ci dici delle donne della Gen Z? Ci sono differenze rispetto alle altre generazioni? Se sì, quali? Come si è formata la loro identità?

La differenza più lampante ha a che fare con lo stravolgimento e la rivendicazione del concetto di femminilità in tutti i sensi: una femminilità lontana dallo sguardo maschile, che è per sé stessa. Per le generazioni precedenti, femminilità significava solo ciò che ci veniva mostrato dagli uomini: le donne erano caregiver umili e belle, piene di umiltà e grazia. Oggi le donne della Generazione Z sono lontane anni luce da questa visione, più ancora delle sorelle maggiori Millennial.

La Generazione Z, a differenza delle precedenti, rifiuta le connotazioni dannose legate a determinate estetiche, e più in generale all’essere incasellati. Anche descrivere questa generazione, anche da parte di chi come me si limita a studiarle, può essere controproducente, per certi versi la sua caratteristica è proprio l’essere inafferrabile.

Forse dobbiamo rassegnarci al fatto che è una generazione estremamente mutevole, piacevolmente umorale anche, difficile anche da far affezionare ai brand. Pensa più a se stessa, allo stare bene e a proprio agio, lontani dai giudizi.

La Generazione Z abbraccia cause come quella femminista. Rispetto agli uomini della generazione precedente, che atteggiamento hanno i ragazzi della gen Z verso le battaglie femministe? Sono coinvolti? Ci credono anche loro?

L’aspetto più entusiasmante della Generazione Z è quello che le generazioni precedenti mettono sotto il cappello del termine fluidità. Così come i giovani di oggi non vedono una divisione tra gli habitat online e la propria identità offline, ecco che altri confini si sfumano fino a scomparire, compreso quello legato al genere in cui riconoscerci e – allargando il discorso – anche rispetto a diritti sociali da difendere. Poco importa se sono battaglie femministe: chi si riconosce nel genere opposto non avverte uno spartiacque.

Possiamo dire che è una generazione meno egoista, più abituata a ragionare in termini globali, anziché locali. Non badano solo al proprio orticello, ma hanno una visione più ampia, proprio perché nati in un’epoca storica dove i limiti sono pochi, anche grazie al digitale.

Dunque, certo che sì, anche i ragazzi credono che sia giusto e se posso aggiungere anche naturale stare dalla parte di cause sacrosante, che scardinano pregiudizi e idee arrugginite drammaticamente novecentesche.

Noi stessi siamo della Gen Z e, come molti, ci stiamo approcciando ora al mondo del lavoro. Notiamo sicuramente che ci sono molte differenze di pensiero da chi è più grande di noi quando parliamo di lavorare. Cos’ha influito sulla visione della nostra Generazione?

Innanzitutto, c’è un tema economico da sottolineare. La crisi del costo della vita ha un grave impatto sulla Generazione Z, molte ragazze in particolare stanno iniziando i loro primi lavori e firmando i primi contratti di locazione. Tra affitto già molto alto nelle città, l’aumento delle bollette e dei costi alimentari non è semplice.

È una generazione che per forza di cose sarà più attenta alla questione finanziaria, ma allo stesso tempo valoriale, scegliendo lavori che rispondono ai propri valori e alle proprie esigenze. Per esempio, la Gen Z sta usando le proprie capacità di creazione di contenuti, anche per rimboccarsi le maniche e trovare un lavoro.

Sono cambiate le aspettative e le modalità, e non sempre questo viene ben visto dalle generazioni più anziane, più conservatrici e più sospettose rispetto alle potenzialità della Rete, e di fare rete.

Se parliamo di Gen Z e lavoro, non possiamo non analizzare cosa succede nelle donne di questa generazione. Ogni generazione passata ha avuto le sue battaglie, sempre prese in eredità da quelle seguenti. Le donne Zoomer per cosa si battono?

Si lotta sempre per libertà. Che non è mai abbastanza, o viene imbrigliata dal contesto culturale, laddove sembra sfuggire di mano al controllo. Dunque, anche oggi la Generazione Z lotta per la libertà, in questo caso di scelta, di flessibilità, di essere se stessi, anche sul lavoro.

In particolare, le donne a volte sono frenate da una sorta di pudore sociale nel non chiedere troppo, nel non farsi vedere troppo esigenti, troppo ambiziose. Occorre superare questo ostacolo, liberarci dei pregiudizi e trovare il coraggio, e laddove possibile spingere altre donne a farlo. Questa è la battaglia che hanno ereditato. Continuare a chiedere di essere riconosciute.

Per farlo, serve coraggio, innanzitutto con sé stesse: di volersi più bene, di stimarsi, di accantonare una volta per tutte la sindrome dell’impostore. Che poi, nota divertente, quanto è cacofonico impostrice o impostora? Non è un bel femminile.

E, per quanto sia impossibile prevederlo realmente, per cosa è plausibile si batterà la Generazione Alpha?

È piuttosto prematuro immaginare la rivoluzione che intraprenderà la Generazione Alpha, ci sono variabili difficili a calcolare rispetto la crisi sociale, valoriale, finanziaria nonché quella climatica. Possiamo però immaginare degli scenari futuri e plausibili. È una generazione che sarà più capace di fare scelte per il bene comune, meno egoista, più aperta. Tutto è globale per gli Alpha.

Senza ombra di dubbio, cercheranno di sfidare le norme collettive come mai prima d’ora, sul solco tracciato degli Z, andranno alla ricerca di una società veramente inclusiva e diversificata. Dobbiamo quindi mettere in conto che saranno molto più sensibili a intolleranze, ingiustizie e discriminazioni che in questi anni si stanno manifestando su un palcoscenico internazionale anche grazie alla rapidità dei social media. Esserne indifferenti per loro sarà impossibile.

Si parla sempre molto dei ruoli professionali delle donne. Le donne d’oggi stanno conquistando settori di lavoro da cui prima erano escluse e sempre più forte è la loro voce e la loro richiesta di riconoscimento del proprio ruolo. Cos’ha spinto questa maggiore consapevolezza?

È stata una rivoluzione perlopiù sotterranea che ha fatto sì che le donne zitte zitte si rimboccassero le maniche e si prendessero i posti che le ha viste da sempre escluse. Hanno subito, il più delle volte, ma poi hanno vinto, stanno vincendo. Hanno capovolto il mondo fino a quel momento solo maschile e si sono sedute.

Penso alle tantissime associazioni e spazi sicuri di confronto tra donne, di conversazione e tutoraggio reciproco. Le donne, facendo rete, sono diventate più sicure. Anche in Italia, la rivoluzione è andata così, proprio attraverso reti provinciali e attività concrete di messa in comune di saperi, aggiornamenti professionali e tanto networking.

E se sta funzionando anche in un paese dove è sempre sembrato più difficile sradicare gli stereotipi patriarcali “uomo che lavora e donna che sta a casa a guardare i figli”, allora significa che la si sta davvero vincendo questa rivoluzione.

Questa maggiore consapevolezza è un qualcosa di diffuso in maniera omogenea in tutte le aziende italiane o rimane ancora un privilegio di poche -pur rimanendo un fenomeno importantissimo? E se rimane un privilegio di poche, perchè?

Rimane un privilegio di alcune, forse non ancora la maggioranza. Viene attribuita una frase molto significativa per me a Rita Levi Montalcini: e dice questo: “Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella “zona grigia” in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi”. Forse è così che si sta muovendo la consapevolezza proprio di chi non ha ancora il privilegio. O meglio ancora, il riconoscimento.

Le donne ora lavorano, fanno carriera e ricoprono ruoli importanti, ma non è ancora abbastanza. Quali sono gli ostacoli del presente? Si parla di conflitto solo tra generi? O è anche intergenerazionale?

La “cultura della donna capo, della donna con i pantaoloni” negli ultimi tempi è diventata stucchevole, ridondante, e paradossalmente sessista. Insomma, glorificare di continuo questa narrativa dove “se fatichi sei vincente”, non funziona più. Oggi le nuove generazioni chiedono a gran voce di colmare il divario per le donne che lavorano e che desiderano consigli significativi invece di parole vuote su come promuovere la propria carriera.

Ma più in generale, non è solo un conflitto tra generi con o senza pantaloni. C’è una questione intergenerazionale che si è ampliata con la pandemia, che ha premiato negli anni dell’emergenza sanitaria il fare comunità, e il significato di avere un gruppo di riferimento.

È vero che non è ancora abbastanza per le donne, ma ormai si è innescato un processo che non può tornare indietro. Sarà lento, forse, ma la direzione di parità di genere e di stipendio nel mondo del lavoro non è un’opzione, è l’unico scenario possibile futuro.

Come si è evoluto il ruolo della donna attraverso le generazioni: come la Gen Z interpreta il suo ruolo di donna nella società/mondo lavorativo/famiglia e quali sono le differenze con le altre generazioni?

Il più grande cambiamento culturale ha a che fare con l’educazione finanziaria delle donne. Per fortuna, ci sono tante, tantissime donne che oggi si occupano di “soldi”, anche se non se ne parla ancora a sufficienza, in un contesto culturale dove percettivamente c’è ancora “l’uomo che guadagna” e poi c’è “la donna che spende” (spesso in modo futile, a volte irragionevole e sempre umorale).

Tra l’altro, l’alfabetizzazione finanziaria non si limita a incrementare i saldi bancari: l’emancipazione economica delle donne può avere altri vantaggi. L’indipendenza finanziaria può aiutare le donne a liberarsi di trappole, problemi e abusi psicologici da parte di datori di lavoro o partner a casa. Un filo conduttore comune, insomma, che attraversa la maggior parte delle storie di #MeToo, quello relativo alla necessità che le donne abbiano potere finanziario, così che possano sentirsi autorizzate a dire ‘no’ a qualsiasi situazione che non le metta a proprio agio.

Cosa vorresti che questa Generazione facesse di diverso?
C’è qualcosa che si può sempre migliorare?

Mi piacerebbe sentire parlare ancora di più di benessere mentale rispetto al mondo del lavoro, a come ci si sente in ufficio o in casa nel caso dello smart working, quali politiche le grandi e piccole aziende stanno adottando per il benessere dei propri dipendenti e collaboratori.

La cultura del posto di lavoro è plasmata dalle interazioni delle persone con i colleghi e i propri capi, e in questo momento post pandemico c’è da chiedersi cosa può consentire di creare ambienti collaborativi dove stare innanzitutto bene, oltre poi essere efficienti. Questo può essere fatto aumentando la consapevolezza sul benessere mentale, soprattutto per la fascia più giovane, e aumentando anche le occasioni di esperienze e conoscenze condivise.  

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