McMindfulness: la spiritualità globalizzata del mindfulness

Non è la prima volta che qui su BeUnsocial parliamo di meditazione e mindfulness; qualche settimana fa vi abbiamo proposto un approfondimento sul contesto generale dell’app Calm. Più in generale, sappiamo che i corsi di mindfulness promettono di aiutare le persone ad alleviare lo stress, migliorare il sonno e far decadere i pensieri che ci danneggiano – ma quanto sono davvero efficaci e a chi portano benefici alla fine?

Utilizzata per vendere di tutto, dai libri da colorare per adulti in poi, la consapevolezza è passata da essere una pratica di nicchia a un’industria vera e propria da miliardi di dollari che ha catturato i cuori e le menti di parecchie persone. Basti pensare che ci sono quasi 1.000 app di mindfulness disponibili per smartphone e solo Amazon.com offre oltre 40.000 libri relativi alla mindfulness. Jon Kabat-Zinn, che ha creato il programma di riduzione dello stress basato sulla consapevolezza (MBSR) all’Università del Massachusetts nel 1979, sostiene che questa forma di meditazione e autoriflessione può fare molto di più che combattere lo stress.

Dopo aver coniato il termine “McMindfulnessin un articolo di HuffPost diventato virale nel 2013, il praticante buddista Ron Purser si è iscritto a un corso MBSR di otto settimane in un ospedale di San Francisco per sperimentare la consapevolezza di sé stesso. Pare che, sebbene abbia assistito a compagni di corso – molti dei quali erano senza lavoro, stressati e malati – che hanno ottenuto alcuni benefici terapeutici, il suo senso di disagio è cresciuto.

Nel suo libro Mcmindfulness: How Mindfulness Became the New Capitalist Spirituality Purser chiama il mercato app come Headspace e Calm prove della “McDonaldization of mindfulness”, che fornisce l’equivalente di un cerotto per gli stress quotidiani. L’autore evidenzia anche come il download di un’app come disintossicazione digitale sia del tutto irrazionale, ma chi le commercializza sembra orgoglioso di creare un prodotto con un brand globale, accessibile a chiunque, e ovunque – proprio come un Big Mac.

Secondo Purser, il movimento di consapevolezza fa parte di un cambiamento ideologico in cui le persone si concentrano ossessivamente sul benessere e sulla felicità. È quello che gli autori Carl Cederström e Andre Spicer vedono come una forma di moralità che ricorda alle persone di rendersi flessibili in un’economia precaria facendo le scelte di vita “giuste” – come ben spiegato nel loro libro The Wellness Syndrome. In questo scenario, benefici promessi della presa di consapevolezza possono essere seducenti, ma a volte il risultato potrebbe patologizzare lo stress, offrendo al contempo un trattamento che non affronta le sue cause più ampie, che spesso risiedono nelle pressioni della società.

Purser non mette in discussione il valore terapeutico, né nega che possa aiutare le persone. La mindfulness fa propri molti dei principi centrali del buddismo: benché sia presentata come una disciplina completamente laica e pragmatica, senza alcun legame con qualcosa di religioso, in realtà è vissuto dalla maggior parte di insegnanti come qualcosa di sacro e spirituale. Ciò riflette un cambiamento sociale della cultura occidentale, che vede le persone adottare sempre più un approccio mix-and-match alla fede.

Le persone sono alla ricerca di punti di ancoraggio – che non hanno così bisogno di essere scientificamente provati – per radicarli nel caos e nella complessità della vita moderna, sia attraverso sistemi di credenze alternative come l’astrologia che con metodi di meditazione, come quella guidata su app.

Infine, un ultimo spunto di riflessione. Un rapporto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha suggerito che la salute mentale può essere promossa e trattata in modo più efficace concentrandosi sulla giustizia sociale con un approccio basato sui diritti, una visione condivisa da Purser in un articolo di OpenDemocracy in cui affermava che alleviare la disuguaglianza è uno dei migliori investimenti nelle politiche pubbliche rispetto alla somministrazione di farmaci, terapie e interventi basati sulla consapevolezza.

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.

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