Ritrovarsi a un evento con lo stesso vestito è sempre stato un incubo, ma con i social media oggi fare #twinning è spesso un #winning. Scherzi a parte, vi siete mai chiesti come fa un abito a diventare l’abito del momento? E come può un singolo prodotto, un vestito ad esempio, scatenare un putiferio in Rete? Basti pensare al vestito spotty di Zara esaurito la scorsa estate, e a quanto abbia suscitato non solo l’accettazione che uno stile può davvero adattarsi a tutti, ma ha solleticato anche un senso di comunità sia online che non. L’account Instagram @hot4thespot ne sta raccogliendo tutte le sue apparizioni, ad esempio. Iniziato dalla stilista Faye Oakenfull nell’aprile scorso, il profilo ha scatenato condivisioni e meme a non finire.

La necessità di identificarsi in un brand (e dunque in un’estetica e in un insieme di valori) è oggi riconosciuta come un antidoto ai crescenti livelli di solitudine. In questo contesto, i brand stanno cercando di azzeccare il “prodotto giusto”, come la gonna leopardata che ha sbancato nel Regno Unito qualche mese fa. Sebbene non legato a un marchio specifico, il capo continua a guadagnare popolarità, con quasi 10.000 follower sulla pagina Instagram @leopardmidiskirt. È un esempio di come un determinato prodotto, indipendentemente dalle associazioni di brand, possa suscitare un interesse virale.
Si tratta di capi che hanno tutto un loro fascino per via della loro accessibilità, sia dal punto di vista del prezzo che della vestibilità. La chiave di un prodotto virale, dunque, possiamo riassumerla in semplicità, accessibilità e senso di appartenenza. Tornando nello specifico al caso Zara, quell’abito è diventato una vera e propria dichiarazione di abbigliamento casual elegante per ogni donna, consentendo a tutti i tipi di corpo di sentirsi a proprio agio. Il suo design aderente, a maniche lunghe, la stampa all-over e il tessuto in cotone hanno reso il vestito confortevole e non impegnativo.

E se da una parte le persone abbracciano questo stile più inclusivo, è interessante vedere anche come usano l’abito (anche) come una tela bianca per la personalizzazione. Oltre a varie tecniche di sartoria – tagli, strappi e inserimento di bottoni – in molti hanno optato per tingerlo. Risultato: un nuovo senso di unicità per i fan del vestito, nonché l’opportunità di acquistare un capo da reinventare in varie colorazioni. La personalizzazione migliora l’espressione identitaria, aggiungendo un elemento di personalità ai prodotti.
Sentirsi attivamente coinvolti nell’aspetto o nella funzionalità di un prodotto incoraggia anche un’auto-analisi: indossando l’abito con le macchie ma cambiandone il colore, ciascuno si conforma a una tendenza da un lato, ma dall’altro la contrasta modificandola in base al proprio gusto. Gli psicologi parlerebbero del tratto psicologico del “mirroring” e, sebbene gli scienziati stiano ancora scoprendo le complessità di come funzionano i neuroni a specchio, sembra che siamo portati a “rispecchiare le emozioni che qualcun altro sta vivendo“. Quando compriamo lo stesso capo di abbigliamento che abbiammo visto ad altri, rispecchiamo quella loro stessa fiducia e unicità – per migliorare il modo in cui ci sentiamo.
I profili Instagram come @thatpuffa – che sta collezionando immagini di una popolare giacca imbottita verde di Urban Outfitters – sono stati creati principalmente come assenso verso la quantità di persone che sono state avvistate con quegli stessi capi.

Ma non sono solo i successi di strada che stanno diventando popolari sui social media. L’industria della moda nel suo insieme si sta aprendo a strategie di marketing non convenzionali, con marchi di lusso come Gucci che adottano un approccio più giocoso alla comunicazione. E forse il merito va anche a tutti quei profili che promuovono di moda che ne fanno da cassa di risonanza come @diet_prada con sarcasmo. Nel mondo dei meme, ad esempio, @hey_reilly adotta un approccio beffardo al mondo della moda, riproponendo immagini di star, campagne pubblicitarie e meme di sfilate.

Quando i brand riescono a muoversi efficacemente in questo varco digitale, un altro vantaggio è la democratizzazione della moda di lusso (e del settore in generale). Zara è un ottimo esempio di marchio aspirazionale che piace sia agli influencer di alto livello sia al consumatore normale. L’esclusività un tempo di basava sul prezzo, oggi sull’hype e sul passaparola: di conseguenza, siamo diventati orgogliosi di indossare qualcosa che ha scatenato conversazioni online. Inoltre, il tema della personalizzazione fa sì che l’abito abbia una maggiore longevità. Lo sa bene anche Levi’s, che ha consentito ai clienti di creare il proprio paio di jeans ideale utilizzando patch, scoloriture e pattern.
Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.