Perché le persone decidono di far parte di una comunità virtuale e condividere le proprie esperienze? Con che linguaggio si relazionano sui social? Quali sono gli usi, i costumi e i rituali? L’etnografia digitale mappa e descrive i comportamenti umani in Rete, prendendo in prestito dalle scienze umane la paziente attitudine all’ascolto e all’osservazione: insomma, anziché studiare le persone nascosto dietro un cespuglio, il ricercatore lo fa mimetizzato in un gruppo chiuso su Facebook. Lo scorso 31 ottobre è uscito in tutte le librerie on e offline People watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale. per una casa editrice attenta ed esperta, quale è Franco Cesati Editore.

Il libro è dedicato proprio a questa affascinante materia, l’etnografia digitale, e si fa strada tra trending topic, small data e nuovi linguaggi condivisi, analizzando le community più svariate — dai tifosi sfegatati della Juventus (e quelli che si sono sentiti traditi dall’anno milanista di Bonucci) al milione di fan di Nino D’Angelo, passando per Donald Trump, cagnetti simpatici, gattofili, stendibiancheria e supermamme.
È diviso in cinque capitoli, e traccia un percorso agile, pratico e ricco di storie che aiuta a capire meglio chi sta dall’altra parte dello schermo, e come funzionano le costituzioni dei principali territori digitali, rispolverando, ad esempio, il preistorico social media Orkut.
L’approccio è umanistico.
Il primo capitolo è dedicato allo studio: dalle osservazioni sui barbari nelle Storie di Erodoto del V secolo a.C. fino ad arrivare a sfiorare i Cyberculture Studies degli anni Novanta. Nel secondo si esplorano le motivazioni che ci portano a far gruppo sul digitale, e in che modo possiamo prepararci all’esplorazione dribblando profili fake, lurker e marchette. Nel terzo capitolo, invece, si scende in campo, e si osservano finalmente i codici linguistici più ricorrenti, il lessico famigliare per dirlo con le parole della Ginzburg, tra vocaboli, meme, GIF, costruzioni sintattiche, hashtag ed emozioni che si nascondono dietro gli emoji. E ancora, il quarto capitolo racconta noi esseri umani intorno a politici, influncer, testimonial e brand, aprendo una parentesi sulle nuove vocazioni aspirazionali. Infine, il quinto e ultimo insegna a scrivere un diario etnografico, per descrivere il nostro presente e le tendenze del futuro.
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Il percorso di avvicinamento alla materia è stato molto lungo, e le sue tappe sono state scandite dall’incontro di numerosi libri, che oggi compongono la corposa bibliografia conclusiva. Alcuni sono le fondamenta di antropologia e sociologia, altri sono i punti di riferimento (ahimé solo in inglese) per i netnografi; e altri ancora, invece, apparentemente non c’entrano nulla con la disciplina, ma sono stati in grado di spalancare riflessioni per interpretare ciò che avviene online. Sono più di cinquanta i titoli che troverete nelle ultime pagine di People Watching in Rete, ma ho pensato di fare una selezione più snella (18!) e dire due parole sui volumi che ritengo necessari per iniziare a guardare al digitale come una scienza umana.
Farsi solide basi di antropologia
Sono tre i testi che, se non avete mai avuto occasione di leggere di antropologia, possono cementificare l’ABC dello studio dell’essere umano. Il primo libro di antropologia di Marco Aime (Einaudi, 2008), Fare antropologia. Metodi per la ricerca etnografica di Mariano Pavanello (Zanichelli, 2009) e soprattutto Pensare come un antropologo di Matthew Engelke (Einaudi, 2018). Quest’ultimo, in particolare, è perfetto per chi cerca una lettura più frizzante, attuale e meno scolastica.

Guardare il digitale da un’altra prospettiva
Con la recente uscita di The Game (Einaudi, 2018) Alessandro Baricco ha ribaltato la percezione del terreno digitale, scardinando tutto quello che pensavamo di sapere, e regalandoci una chiave di lettura inedita. Si può partire da qui per comprendere che cosa significa essere in Rete. Letture da affiancare: Homo ludens (Einaudi, 2002) di Johan Huizinga sul gioco come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale e Visioni digitali di Simone Arcagni (Einaudi, 2016)* per approfondire l’aspetto più visivo.

* Tra l’altro, dello stesso autore ed editore è uscito in questi mesi L’occhio della macchina dove c’è tutto quello che serve sapere, dall’imaging alla computer graphics, dalla realtà virtuale e aumentata, dai droni a volo autonomo agli algoritmi di Google, di Netflix e di Amazon .
Studiare la teoria della ricerca netnografica
La letteratura italiana sull’etnografia digitale è scarsa, ma Netnography: Redefined di Robert Kozinets (Sage Publications, 2015) e Digital Ethnography: Principles and Practice (Sage Publications, 2015) dei ricercatori Sarah Pink, Heather Horst, John Postill, Larissa Hjorth, Tania Lewis e Jo Tacchi sono due Bibbie. A questi aggiungiamo Metodi digitali. Fare ricerca sociale con il web di Richard Rogers (il Mulino, 2016) che, benché non parli direttamente di etnografia digitale, rimane un testo illuminante per raccogliere e analizzare gli small data. Per dirla con le sue parole: “la base concettuale di partenza è il riconoscimento di Internet non solo come oggetto di studio, ma anche come fonte”.

Far proprio un nuovo sguardo sulle cose
L’etnografo digitale deve fare esperienza di cosa scrivere. Online. A tal proposito una lettura illuminante arriva da tutt’altro scaffale: Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolai Leskov di Walter Benjamin (Einaudi, 2011). E poi, un classico e un contemporaneo che hanno fatto esperienza: Erodoto con le Storie (Rizzoli, 2008) e Marc Augè con Un etnologo al bistrot (Cortina, 2015). Il primo tra le popolazioni conosciute al tempo tra l’Asia occidentale, l’Africa settentrionale e la Grecia; il secondo tra gli avventori di un locale francese. La metodologia di osservazione è la medesima.

Mettere in pratica quello sguardo
Mescolare storie diverse tra loro per descrivere ciò che ci circonda, conoscere la personalità di un testo e le sue temperature emozionali, ripensare la narrativa della comunicazione oggi. Tre gesti che arrivano da un cambio di passo. Merito di Riccardo Falcinelli con Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo (Einaudi, 2017), Valentina Falcinelli con Testi che parlano (Cesati, 2018) e Paolo Iabichino, Scripta Volant. Un nuovo alfabeto per scrivere (e leggere) la pubblicità oggi (Codice, 2017). Non siamo utenti online, ma persone; non consumiamo contenuti, ma storie.

Capire meglio il mondo che ci circonda
Infine, tre libri che parlano del nostro presente. Nicholas Mirzoeff lo racconta oltre lo specchio con How to See the World (Pelican, 2015); Beppe Sebaste seduto sulle Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne (Laterza, 2018); Jean M. Twenge tra i ragazzi della Generazione Z: Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti (Einaudi, 2018).

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.