Come sapete da tempo andiamo a caccia di realtà italiane che sentiamo vicine, con un forte approccio al digitale quanto più umano. Oggi siamo a Milano, per conoscere meglio la realtà di Hotwire, grazie alla disponibilità di Beatrice Agostinacchio, Managing Director di Hotwire Italy da febbraio 2017. Entrata in Hotwire a ottobre 2010 in qualità di Senior Account, è passata poi a ruoli di sempre maggiore importanza, come Director prima e Country Manager dal 2015 al 2017. Da oltre 15 anni nel campo delle PR, Beatrice Agostinacchio ha maturato una vasta conoscenza del mondo BtoB e consumer, occupandosi sempre di clienti multinazionali.
Ecco che cosa ci ha raccontato, buona lettura.

Dal vostro sito, emergono due parole bellissime: Comunicatori globali.
In che modo lavorate? E cosa si nasconde dietro la parentesi “e molto altro”?
Hotwire è una realtà globale – 13 uffici e filiali in tutto il mondo – ma con un forte spirito locale. Questo approccio vale per tutto, soprattutto nel nostro modo di fare comunicazione. Beneficiamo di un respiro molto ampio e della diversità dei territori, a cui andiamo a sommare una forte conoscenza delle dinamiche locali. Da questo sapiente mix nascono campagne di comunicazione di successo che ci permettono di posizionare, in particolare, brand internazionali sul mercato italiano.
Uno dei valori chiave di Hotwire è essere “limitless”, cioè senza barriere. Questo vale chiaramente in ambito geografico ma viene applicato a tutto ciò che facciamo: al modo in cui pensiamo, al modo in cui approcciamo i Clienti e i dipendenti, al modo in cui guardiamo ciò che ci circonda. La tecnologia ha davvero abbattuto le barriere. In Hotwire siamo costantemente in contatto tra colleghi di diverse regioni, attraverso Slack, un sistema di messaggistica e condivisione facile e diretto in cui si discute di piani strategici ma dove trovano spazio i più disparati gruppi di aggregazione, da chi ha la passione per cani e gatti fino ai più “nerd” che parlano di gaming o gossip.
Lo scambio è fortemente incentivato attraverso il programma “GoHotwire”, grazie al quale ogni dipendente può richiedere di trascorrere un periodo lavorativo presso gli uffici di un altro Paese. A fronte di un piano proposto dal dipendente, l’azienda valuta la fattibilità e sostiene, anche economicamente, il progetto. Infine, voglio ricordare le annuali riunioni d’agenzia, meglio conosciute come “Bootcamp”, un evento che ogni anno riunisce tutti i dipendenti di Hotwire – ormai oltre 300 – per una due-giorni fatta di momenti di condivisione sull’anno appena trascorso e workshop strategici. L’anno scorso siamo stati a Dublino, quest’anno andremo invece a New York.
La volontà di Hotwire è quella di creare un ambiente di lavoro ideale per i nostri collaboratori, per cui l’attenzione alle necessità del dipendente siano sempre al primo posto, compatibilmente con l’attività lavorativa. Da tempo abbiamo attivato anche politiche di smartworking e siamo assolutamente pet-friendly per cui gli animali sono i benvenuti in agenzia.
La dicitura “molto altro” è un modo per creare curiosità – obiettivo raggiunto quindi! – oltre che per aprire le porte a quella che è la nostra narrazione. Definirci comunicatori oggi è assolutamente riduttivo. Il “molto altro” rappresenta tutto quello che facciamo: dalla consulenza strategica alla creazione di contenuti, dalle influencer relation alla gestione di pagine social fino ad attività di marketing, analytics, reporting e misurazione. Il mondo della comunicazione è in costante mutazione e la nostra realtà vuole essere in grado di cavalcare o, ancora meglio, anticipare i trend.

Di che cosa deve tenere conto oggi chi si occupa di marketing? Quanto è importante concentrarsi su ciò che interessa al target di riferimento?
Il marketing – e quindi la comunicazione – è cambiato radicalmente negli ultimi anni. Sempre più i brand non solo dovranno concentrarsi su ciò che interessa al target di riferimento ma attivare una vera e propria comunicazione a due vie. In un mondo in cui pressoché tutti i mercati sono piuttosto affollati, la differenza la fanno i valori, i messaggi, il “purpose” che il brand comunica. Questo perché la relazione brand-utente è molto cambiata. Il consumatore moderno è molto informato, attiva controlli incrociati, ha informazioni in real-time che arrivano prevalentemente dai social, è multi tasking e multi canale.
Per i brand è fondamentale conoscere il proprio target di riferimento e attivare comunicazioni ad hoc per cluster. Questo significa sapere cosa comunicare ma anche come raggiungere il pubblico di riferimento e quale mezzo scegliere per un giusto marketing mix. Le pubbliche relazioni hanno una valenza cruciale in questo perché permettono di influenzare. È quindi fondamentale per un brand trovare un partner di comunicazione che possa, in primis, comprendere le esigenze del business per poi tradurle in un efficace piano di comunicazione. Molto spesso campagne PR, che trovano poi declinazione in campagne adv tradizionali, social, paid, OOH, programmatic, etc.
Altro punto fondamentale per i brand, da non sottovalutare, è la misurazione dei risultati. Attivare una campagna per poi non avere chiarezza dei risultati raggiunti è come investire nel vuoto. Anche in questo ambito il target di riferimento è cruciale.

Quali sono, ad esempio, gli insight più evidenti che abbiamo in mano sui giovani di oggi, gli appartenenti della Generazione Z, per intenderci?
La Generazione Z è quella dello smartphone e di Google. I giovani di oggi sono connessi, abituati a verificare tutto e in tempi brevissimi. È la generazione delle app, del delivery e degli acquisti online. È un target che si informa prevalentemente sui social, capitanati in questi ultimi anni da Instagram e ancora più recentemente da TikTok e a discapito di Facebook, appannaggio delle generazioni precedenti. È la generazione dello “show off”, dei like e della sovraesposizione, che comunica via WhatsApp, che scambia centinaia di migliaia di contenuti.
Credo che la cosa più interessante da sottolineare sia il “potere” di questa generazione – e della tecnologia che in questo ha giocato un ruolo preponderante – di influenzare le altre. È chiaro che le nuove leve dei nativi digitali nascono e crescono con un display in mano e con lo swipe integrato, ma in particolare è interessante capire come i target più inusuali – e a loro strettamente collegati – stiano cambiando le loro abitudini di consumo.
Per cui se per un marketer è molto chiaro che per comunicare con un 25enne deve usare certi messaggi e determinati canali, credo che la nuova sfida sia capire come modificare la comunicazione con gli over 50 o comprendere meglio il fortissimo potere di influenza della generazione Z, ad esempio, sui genitori.

Dal vostro lavoro di ricerca e monitoraggio sulla Generazione Alpha che caratteristiche salienti di questi nuovi bimbi emergono?
I bambini nati dopo il 2010 – classificati come appartenenti alla Generazione Alpha – si affidano parecchio all’utilizzo di device tecnologici a partire dalla tenera età, trasformando questi strumenti in potenti alleati per la scoperta del mondo, per l’apprendimento e il gioco. Nel nostro report abbiamo evidenziato come il dibattito – aperto dai genitori di questa nuova generazione – si sia incentrato soprattutto sullo stabilire gli effetti positivi di questo massivo utilizzo della tecnologia: il 76,7% dei genitori afferma, infatti, di temere che i propri figli passino troppo tempo davanti a uno schermo, preferendo pc e videogame ai giochi all’aria aperta.
Nonostante questo dato, sono gli stessi genitori a riporre fiducia nel fatto che il tempo trascorso davanti ai display ponga le basi per lo sviluppo di solide opportunità di carriera per i propri bambini. Il 76,2%, infatti, è certo che la tecnologia utilizzata oggi dai figli sarà utile per definire il loro profilo professionale. A portarli a questa conclusione la convinzione che dispositivi elettronici e piattaforme social aiutino i bambini a sviluppare le soft skill che consentiranno loro di raggiungere il successo in un mercato del lavoro sempre più automatizzato.
In questo scenario è importante sottolineare come gli stessi genitori si sentano “sorpassati” in termini di know-how tecnologico dalla propria prole già allo scoccare del decimo anno di età, momento dopo il quale i bambini diventano di fatto i “grandi esperti” in fatto di tecnologia. Non stupisce, quindi, che il 73,9% dei genitori abbia ammesso che le abitudini, le necessità e, soprattutto, i consigli dei propri figli hanno indirizzato e influenzato i loro ultimi acquisti tecnologici.
I “nativi digitali” sono quindi menti già iper-connesse dalla nascita e con le possibilità – sia intellettive che strumentali – di navigare e dare il meglio di sé all’interno di una società sempre più digitale.

E infine, perché sono così interessati (o almeno, dovrebbero essere!) agli occhi dei brand?
Alla luce del ruolo che i bambini ricoprono all’interno del processo decisionale famigliare, è chiaro che, per rimanere competitivi, i brand devono necessariamente parlare in modo efficace alla Generazione Alpha, che si sta affermando come importante “influencer” per quanto riguarda gli acquisti tecnologici degli adulti. Questo proprio perché, forti di una più solida padronanza delle tecnologie, i bambini hanno sempre maggiore voce in capitolo nelle scelte d’acquisto di una famiglia.
Come abbiamo anticipato prima, lo studio mette chiaramente in luce come i genitori siano preoccupati da un uso eccessivo delle tecnologie, ma al tempo stesso ne riconoscano l’importanza in ottica di costruzione del futuro lavorativo dei propri bambini. Con queste premesse, la sfida per i brand che si rivolgono alle famiglie sarà, quindi, instaurare con i genitori un dialogo costruttivo capace di rispondere a questi timori e di consolidare la loro fiducia nei confronti del mezzo tecnologico, al fine di creare una forte connessione emozionale, elemento chiave per porre le basi di una fidelizzazione a lungo termine.
Per raggiungere la Generazione Alpha e mantenere il loro vantaggio competitivo, i brand dovranno progressivamente costruire connessioni emozionali con i suoi appartenenti. Se non si viene percepiti come utili dal proprio pubblico, è come se non si esistesse. La comunicazione da proattiva dovrà diventare di intrattenimento, capace di attrarre l’attenzione il target di riferimento per ingaggiarlo e attivare acquisti ripetuti sul prodotto, sito o punto vendita.
L’attenzione dovrà essere posta sul generare comunicazioni reattive estremamente targetizzate, in modo da avere la risposta pronta quando la Generazione Alpha la richiede. A vincere la sfida saranno quei brand che sapranno essere persuasivi ma concisi e soprattutto molto visibili su Google.
Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.