Etnografia digitale e small data per capire il contesto dei perché

È meno valida della ricerca quantitativa!

Quando si parla di etnografia e antropologia digitale, e più in generale di small data, una delle obiezioni più frequenti è che abbia un valore minore rispetto alla ricerca misurabile e quantificabile. I numeri, in effetti, possono essere utilizzati per quantificare quasi ogni aspetto della vita di una persona dai livelli di attività (attraverso i dati Fitbit e Apple Watch) allo stato sociale (follower di Instagram e Twitter) ai gusti musicali.

Più in generale, questa ossessione per i numeri è comune tra i consumatori e le imprese nell’era digitale; una ricerca di Forrester Consulting ha scoperto ad esempio che il 29% dei responsabili delle decisioni strategiche di marketing e approfondimento sui clienti si basano esclusivamente sui big data. Anche il numero dei posti di lavoro da data scientist è aumentato del 505% negli ultimi cinque anni e si prevede che le entrate ottenute dalle grandi società di analisi dei dati e dei dati cresceranno del 13,2% ogni anno fino al 2022.

Anche in ambiente lavorativo, ci sono molte cose che non sono quantificabili: la creatività, i comportamenti emergenti, le storie, la profondità delle conoscenze, le emozioni. Perché dunque non dare pari dignità agli small data e al lavoro di etnografo digitale? Nell’ultimo capitolo di People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale (Franco Cesati Editore) si affronta proprio questo tema.

“In realtà, nessuno vuole sostenere che l’etnografia digitale sia autosufficiente; al contrario, occorre capire che si tratta di uno strumento di approfondimento dei dati estrapolati. Ai numerici pensa il data mining, l’insieme di tecniche analitiche che estraggono una moltitudine di dati in modo automatico, attraverso software. […]

L’etnografia digitale scandaglia quanto ricavato, arricchendolo con altre risposte: quanto peso ha il fatto che abbiamo preso in esame un mese estivo di saldi? Ci sono donne famose che hanno indossato un capo in lino di questa azienda e quindi ne hanno influenzato le vendite? E chi ha scelto di cancellare il proprio account, l’ha fatto perché ha letto in un forum che i vestiti vengono prodotti da lavoratori maltrattati?

A volte la ricerca quantitativa è il punto di partenza, altre è il corpo centrale di un report, altre ancora è del tutto marginale. E viceversa per l’etnografia digitale. Non c’è un metodo migliore dell’altro, ma ci sono casi, obiettivi e parametri che vi porteranno di volta in volta a ragionare su come,se e quanto integrare i due approcci.”

Gli small data, i segnali deboli tracciati anche dall’etnografia digitale, indagano il contesto – il “perché” dietro al “cosa“. Fatto curioso è che uno dei principali sostenitori della necessità di dati più concreti era Robert McNamara, ex presidente della Ford e segretario alla Difesa degli Stati Uniti. Durante la guerra del Vietnam, misurò i progressi solo in base a una metrica: il conteggio dei corpi che si vedevano. Lasciando da parte probabilmente metriche più significative, l’approccio di McNamara è stato ampiamente criticato. Ecco perché l’eccessiva dipendenza da numeri e statistiche è ora comunemente nota come McNamara fallacy.

Questo non vuol dire che i big data siano cattivi. Transport for London ha annunciato l’intenzione di comprendere meglio la congestione della metropolitana utilizzando i dati di rilevatori come telefoni cellulari per mappare i punti deboli attraverso la rete. Nel frattempo, Nike by Melrose è un negozio fisico che utilizza i big data per rifornire le merci in base a ciò che è popolare in quel momento. Dunque, è chiaro che i big data hanno sicuramente un posto d’onore in ambienti specifici, ma a volte non bastano.

Serve dare un senso ai dati, una comprensione umana. Non tenere in considerazione questo approccio può diventare una trappola in cui Google si è imbattuto nel 2015 quando l’ingegnere di software Jacky Alciné ha parlato di come gli algoritmi di intelligenza artificiale in Google Foto – programmati con l’uso di big data – hanno identificato i suoi amici di colore come “gorilla”.

In un esempio meno controverso, i ricercatori di intelligenza artificiale di tutto il mondo hanno utilizzato tecniche di apprendimento automatico per predire il vincitore della Coppa del Mondo 2018, il che si è rivelato senza successo. Al contrario, come forse vi ricorderete, il polipo Paul ha prodotto previsioni più accurate per il torneo 2010, indovinando correttamente i risultati di tutte e sei le partite della Germania.

Riconoscendo il potere di dati più umani, Netflix ha combinato i suoi big data sulle abitudini di visualizzazione degli utenti con veri e propri studi etnografici per rivelare come le persone si divertivano a fare binge watching invece di sentirsi in colpa per essere state davanti alla TV per ore. Questo insight ha portato la piattaforma a rilasciare intere stagioni di contenuti in una volta sola, piuttosto che fare anteprime di episodi ogni settimana. Lo stesso Spotify sta personalizzando le playlist unendo suggerimenti di algoritmi con scelte selezionate a mano dal suo team di esperti di musica; playlist editoriali personalizzate che portano a un aumento del 35% del numero di brani che gli ascoltatori scoprono ogni volta.

La ricerca del termine “big data” su Google Trends indica come l’interesse online sul tema stia scendendo gradualmente dalla primavera del 2015, anche se non significa che si stia dissipando.

Quando parliamo di big data, generalmente ci si riferisce a tre grandi aree: intelligenza artificiale, apprendimento automatico e apprendimento profondo. In verità, l’interesse per queste tecnologie sta crescendo: il 61% delle persone pensa che la società migliorerà grazie all’aumento dell’automazione e dell’intelligenza artificiale – tra le applicazioni più interessanti le diagnosi mediche e i controlli del traffico. Ma è altrettanto vero che una tecnologia più intelligente non ci aiuterà necessariamente a prendere decisioni migliori.

Il crescente apprezzamento su come gli small data possano combinarsi con i big data rispecchia l’impatto che l’economia comportamentale ha avuto sul campo del business. I numeri non sono sufficienti per affrontare i problemi: le soluzioni provengono dal contesto e dalle storie che nascono da specifici comportamenti.

Lettura consigliatissima: Small data. I piccoli indizi che svelano i grandi trend – Capire i desideri nascosti dei tuoi clienti – di Martin Lindstrom (Hoepli).

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.

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