Come il Coronavirus ha avvicinano digitale e salute

Dopo aver introdotto il tema dei nuovi modi di fare terapia, oggi proviamo ad approfondire insieme come l’emergenza abbia messo tutti davanti alla necessità di riconsiderare l’assistenza medica da remoto (e solo quando strettamente necessaria). Anche chi era più riluttante, sia tra gli operatori sanitari che tra i pazienti, ha dovuto fare i conti con questa accelerazione. Come sappiamo, la pandemia ha fatto sì che tutti noi stessimo il più possibile al riparo per evitare di diffondere la malattia, avvendurandoci all’esterno solo per ciò che era davvero essenziale. Questo è valso anche per le persone che necessitavano supporto di primo soccorso o che avevano a che fare con malattie croniche.

Dai primi anni 2000, l’infrastruttura tecnologica per facilitare le visite a domicilio e il monitoraggio dei dati sanitari è in costante aumento dai primi anni 2000. Lo strumento di monitoraggio continuo della glicemia di FreeStyle Libre, ad esempio, consente ai pazienti di inviare i valori di zucchero nel sangue allo smartphone del proprio medico tramite un sensore per braccio e un dispositivo portatile.

Fino a qualche mese fa i pazienti avevano maggiori probabilità di andare in una clinica o in pronto soccorso piuttosto che parlare con un medico o un infermiere online. Inoltre, i medici erano anche piuttosto preoccupati che la telemedicina avrebbe ridotto la relazione medico-paziente e la fiducia che è fondamentale per un’assistenza di qualità.

I pazienti, in particolare, erano ancora un po’ diffidenti da traciamenti digitali e chatbot, sentendo che questa tecnologia non rispondeva alla complessità delle sfumature dei loro sintomi. Ma non solo: oltre a una diffusione rallentata per via di confuse pratiche normative, soprattutto negli Stati Uniti il problema era il costo poiché la maggior parte dei piani assicurativi del governo non pagava i medici per la maggior parte delle visite da remoto. L’emergenza ha rimosso rapidamente queste barriere, e il pacchetto federale di aiuti economici approvato questo marzo ha portato agevolazioni per anziani, veterani, famiglie a basso reddito e popolazioni indigene.

Nonostante tutto, quando il covid-19 è diventato una preoccupazione globale, l’uso della telemedicina è aumentato vertiginosamente. Alla fine di marzo, il 17% degli americani aveva usato la telemedicina, rispetto all’8% al dicembre scorso – e il numero di persone che intendevano utilizzare la telemedicina è passato dal 19% al 30% nello stesso periodo. Il rapido abbraccio della telehealth ha travolto le società esistenti nel settore delle tecnologie sanitarie. Al contempo, ci si aspetta che l’aumento della domanda continui anche una volta che la curva della pandemia si sarà appiattita; basti pensare alle persone con condizioni croniche che hanno ritardato la ricerca di cure durante l’epidemia che hanno avuto una ricaduta o hanno sperimentato nuove complicazioni.

Alcune realtà stanno cercando di giocare d’anticipo. L’azienda digitale Quil ha debuttato con uno strumento per aiutare le persone a mantenersi in salute mentre attendono la riprogrammazione degli interventi chirurgici. La società di assistenza sanitaria digitale Omada Health ha aumentato la sorveglianza dei dati dal monitoraggio continuo del glucosio dei pazienti diabetici; la Virta Health è in contatto con i suoi pazienti per ricordare loro l’importanza della cura di sé per la loro salute mentale durante il lockdown.

La richiesta di appuntamenti con dottori virtuali è solo un piccolo pezzo delle potenzialità telehealth. L’uso esteso della tecnologia è cruciale per soddisfare gli inevitabili aumenti della domanda di assistenza sanitaria, specialmente con l’invecchiamento della popolazione. In questo contesto, l’intelligenza artificiale nell’assistenza sanitaria potrà avere un ruolo sempre più di primo piano. L’ostacolo vero non è tecnologico, dunque, ma percettivo dei pazienti, che temono che una AI non possa essere in grado di capire i loro sintomi e il contesto in cui si sviluppano. Ciò nasce dall’idea che le macchine possano essere brave ad applicare regole e procedure, ma non siano abbastanza flessibili per comprendere un essere umano. Idee difficili da sradicare, insomma, anche se gli studi indicano che AI come Watson di IBM diagnostica meglio le malattie cardiache rispetto ai cardiologi stessi, nonché algoritmi che rilevano malattie degli occhi meglio degli specialisti in carne e ossa. Sul piatto poi c’è anche tutto il tema della privacy, che rimane una delle preoccupazioni principali, basti vedere tutto il polverone intorno all’app Immuni in Italia.

Come ci ha insegnato l’esperienza del Coronavirus, l’assistenza domiciliare mantiene le persone al sicuro e permette di arginare la carenza di letti, personale e attrezzature mediche. Le tecnologie sanitarie sono mature e grazie alle consultazioni video, in particolare, è possibile tenere fuori dall’ambulatorio o dall’ospedale i pazienti non critici che possono essere monitorati da casa. L’aspetto psicologico non è meno rilevante poi. I social sono stati particolarmente importanti per le persone con malattie croniche che affrontano la solitudine, come dimostrato dalla popolarità dello Sick Sad Girlz Club su Instagram, o la piattaforma online The Mighty per condividere storie di malattie croniche con una grande comunità.

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.