Basta wanderlust: in viaggio si vivrà il piacere del gallivant

La definizione del verbo to gallivant del Cambridge Dictonary dice così: “to visit or go to a lot of different places, enjoying yourself and not worrying about other things you should be doing”. Si tratta, in soldoni, del piacere di andarsene in giro.

A volte questa parola appare anche nella sua variante galavant, usato nella forma verbale galavanting. La sua etimologia ci porta alla parola gallant, ovvero galante; per alcuni ha qualche radice francese che ci rimanda a qualcosa di vicino al termine italiano pavoneggiarsi in giro. Ad ogni modo, oggi gallivant viene usato per esprimere il viaggiare alla ricerca di piacere e soddisfazioni.

Negli ultimi anni si è parlato tanto di wanderlust come una delle parole difficili da tradurre in italiano che stava a simboleggiare il desiderio di esplorare il mondo, di fare di nuove esperienze, conoscere nuove culture, vedere posti poco battuti dai turisti e vivere la libertà e l’emozione di essere stranieri.

Il gallivant aggiunge un pezzettino a questo concetto, cambiandone il focus: oggi viaggiamo per raggiungere un posto dove sappiamo che troveremo intrattenimento, divertimento e in generale ciò che ci piace.

Alzi la mano chi tra voi non ha programmato uno degli ultimi viaggi con questo approccio, o perché conoscevate (e amavate) già la meta e l’avete riconfermata, o perché – prima di raggiungere una destinazione nuova – avete innanzitutto cercato punti di riferimento che vi fanno star bene (pasticcerie vegane, ristoranti stellati) o avete prenotato i biglietti giusti (concerti speciali, musei di nicchia).

Insomma, vi siete messi in viaggio per raggiungere il vostro piacere, e non primariamente per conoscere nuove culture come suggerisce il wanderlust. Su Instagram ci sono 15.000 contenuti con #galavant, 22.000 con #galavantin, 18.000 con #gallivanting e quasi 12.000 con #gallivant. Numeri ancora piccoli, ma destinati a crescere nei prossimi mesi.

@samooshih
instagram.com/explore/tags/gallivanting

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.