La pandemia ha chiuso scuole e parchi, e ha messo un punto a giochi all’aria aperta, feste di compleanno e pranzi dai nonni. Non deve essere semplice far parte della Generazione Alpha, e le implicazioni di questo momento avranno un impatto molto più profondo rispetto al solo cambio di abutidini quotidiane. Alcuni governi, intanto, hanno iniziato a rivolgersi proprio a questi bambini (no, in Italia non è – ancora – successo). In Nuova Zelanda, ad esempio, il Primo ministro Jacinda Ardern ha tranquillizzato i più piccoli che, nonostante il lockdown, i servizi della fatina dei dentini e del coniglietto pasquale sarebbero stati considerati come “essenziali”.
In Canada, invece, Justin Trudeau ha puntato su un video messaggio creato con i Lego: ringrazia i bimbi per il sacrificio di stare a casa, per proteggere sé stessi e i nonni.
È facile immaginare come questi bambini sotto i dieci anni in questo periodo abbiano trascorso più tempo al chiuso di quanto non abbiano mai fatto prima. A metà marzo 2020, le Nazioni Unite hanno stimato che sono ben 1,25 miliardi i piccoli che restano a casa a causa della pandemia, considerando che sono 124 i paesi che hanno chiuso le scuole, colpendo quasi i tre quarti di tutti gli studenti iscritti.
Al contempo, per i genitori è sempre più difficile mantenere la routine lavorativa a casa; l’onere per loro è significativo, soprattutto perché costretti a stare accanto al bambino anche durante i momenti formativi. Dunque, sia per la Generazione Alpha che per i loro genitori (soprattutto Millennial), la pandemia sta chiedendo loro un tributo emotivo non indifferente. Dunque, quali potrebbero essere gli effetti del Coronavirus tra chi oggi ha tra gli 0 e i 10 anni?

C’è un primo tema legato al rapporto tra umano e digitale. Durante questo blocco, i bambini trascorrono più tempo sugli schermi; un rapporto ha rilevato che i bambini nel complesso trascorrono da 2,5 a 3 volte più ore al giorno durante la pandemia. Ma allo stesso tempo, è altrettanto vero che gli Alpha stanno trascorrendo più tempo di qualità a casa con i propri genitori che, in molti casi, vedevano solo al ritorno da lavoro. Le occasioni di scambio, di gioco e di apprendimento sono aumentate esponenzialmente, insomma.
Ben prima della pandemia, i genitori cercavano sempre più media digitali educativi, cercando contenuti basati su un apprendimento attivo, coinvolgente, significativo e possibilmente interattivo con altri coetanei. Sui questi quattro pilastri potete approfondire qui. Il contenuto, infatti, oggi più che mai è di qualità superiore quando è significativo nella vita dei bambini e corrisponde all’esperienza che potrebbero vivere anche fuori di casa.

Alcune ricerche hanno esaminato come i bambini di età inferiore ai tre anni abbiano difficoltà a trasferire le informazioni che hanno appreso dallo schermo al mondo reale e viceversa. Una buona occasione questa, ad esempio, per i genitori che possono così essere il ponte tra i media e il mondo reale, stando loro vicino quando interagiscono con il digitale. Non solo. Anche usare Zoom o Skype con un membro della famiglia geograficamente lontano può aiutare ad alleviare l’onere per i genitori, e allo stesso tempo aiuta anche i bambini piccoli a imparare a riconoscere la famiglia, costruire relazioni e diminuire il senso di isolamento che in molti percepiscono. Queste applicazioni forniscono inoltre un input linguistico aggiuntivo che, per la parte più giovane degli Alpha, è la chiave per l’apprendimento di nuove parole.
Anche chi in famiglia precedentemente era contrario o provava sentimenti ambivalenti nei confronti dei propri figli davanti agli schermi digitali, oggi si è dovuto arrendere all’evidenza che esistono diverse fonti di alta qualità: basta saper scegliere e continuare a tutelare la privacy del minorenne. YouTube Kids, ad esempio, sta lavorando al miglioramento del filtro dei video, per fare in modo che i bambini non interagiscano con contenuti dannosi o violenti.

Insomma, la pandemia sta creando un contesto che promuove l’interazione tra genitori e bimbi, e la creatività, sia per gli Alpha, che anche per i più giovani della Generazione Z. Basta vedere come alcuni hanno ricreato la propria scuola in Minecraft, o come stanno usando Snapchat e TikTok con meno leggerezza contenutistica. Insegnanti e genitori dovranno diventare più aperti nei confronti di questi touchpoing, per aiutare gli studenti a continuare l’apprendimento in remoto e a sviluppare skill creative.
Non è tutto perfetto. C’è, ad esempio, l’ingombrante problema del divario digitale, non solo perché molti bambini non hanno strumenti a disposizione, ma anche perchè non hanno la possibilità di essere seguiti a dovere nella scelta dei contenuti di qualità. Lo stesso divario tra chi si sa destreggiare su smartphone e tablet e chi no rischia si allargarsi ancora di più. Tutto dipende dall’ambiente domestico, e dal rapporto genitori-figli; quando analizziamo la situazione degli Alpha non possiamo dimenticare tutti quei bambini che vivono in circostanze molto difficili e non possono imparare perché l’atmosfera (soprattutto emotiva) a casa è tesa.

Come abbiamo scritto qualche giorno fa, in questo momento stiamo tutti vivendo un trauma collettivo: la perdita di un familiare, la seperazione dagli affetti e dagli amici, la costrizione di tornare in una situazione familiare scomoda o insicura. È chiaro che gli Alpha non ne sono immuni. Spetta ai genitori e agli insegnanti pensare prima di tutto al benessere emotivo dei bambini.
La prima infanzia è fondamentale per lo sviluppo sociale ed emotivo, dalla nascita agli otto anni in particolare, ovvero quando i bambini imparano le norme sociali e come fare amicizia e iniziano a capire le prospettive e le visioni del mondo di altre persone. Imparano queste cose andando a scuola, con le interazioni sociali, la risoluzione dei conflitti con i coetanei e il rispetto delle regole a scuola. Due o tre mesi forse non causeranno danni ingenti, ma se gli Alpha dovessero rimanere fuori dalla scuola per un lungo periodo di tempo (fino alla scoperta del vaccino, per esempio), potrebbero perdere la possibilità di interagire e imparare quelle norme sociali tanto importanti.

Alice Avallone (Asti, 1984) insegna alla Scuola Holden e fa ricerca con l’etnografia digitale per le aziende. Da anni, infatti, unisce scienze sociali e ricerca in Rete per comprendere le relazioni umane online: codici, comportamenti, linguaggi. In passato ha scritto una guida di viaggio con la rivista Nuok (Bur), il manuale Strategia Digitale (Apogeo), e ha curato il libro Come diventare scrittore di viaggio (Lonely Planet). Per Franco Cesati Editore ha pubblicato il saggio People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale e il manuale di scrittura per il turismo Immaginari per viaggiatori. A inizio 2021 è tornata in libreria con #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale per la collana Tracce di Hoepli.